sabato 16 febbraio 2013
La giuncata è un formaggio tipico delle valli dell'entroterra Savonese,
la sua nascita è da attribuire alle lavorazioni nate negli alpeggi in
quanto si realizzavano i prodotti con i pochi strumenti essenziali.
Alcuni testi riportano difatti la giuncata da latte Ovino rifacendosi
appunto alle sue origini, oggi molte aziende la producono da latte
vaccino, come il campione da me degustato. La tecnologia, spiega
parecchio: il latte di due mungiture quella serale e la successiva
mattutina vengono unite, filtrate, portate ad ebollizione alla
temperatura di circa 65°c e raffreddate velocemente fino a 35°c circa.
SALENTO - TRADIZIONI LI SPONGALI (fidanzamento)
SALENTO - TRADIZIONI - LI SPONGALI (fidanzamento)
Il Salento aveva, in passato, numerose tradizioni legate al fidanzamento e al matrimonio molto interessanti da scoprire e ormai scomparse.Sin dal primo approccio i due giovani dovevano rispettare alcuni vincoli: non erano ammessi contatti diretti, ma solo in luoghi pubblici (generalmente durante la messa domenicale) e alla presenza di altre persone; la ragazza doveva difendere il suo "onore" e perciò non poteva manifestare interesse verso alcun giovane ma aspettare che questi si manifestasse per primo; non accettare subito la corte ma aspettare l'opera degli intermediari presso i familiari.Una volta che i genitori dei due giovani davano il consenso al fidanzamento anche il rapporto tra il fidanzato e i futuri suoceri dovevano seguire regole rigide e inoppugnabili: la "trasatura" cioè l'entrata in casa del fidanzato accompagnato dai genitori;
e "lu parlamentu" il contratto con il quale si stabiliva il valore della dote che i due sposi avrebbero ricevuto per il matrimonio e che doveva equivalersi; l'impossibilità d'incontri al di fuori delle mura domestiche; i modi e la frequenza settimanale delle visite della fidanzata.I due giovani non potevano sedere vicino neppure nei giorni e negli orari stabiliti per la conoscenza, erano sempre controllati dalla madre della giovane seduta al centro e potevano conversare da lontano o, molto spesso, recitare il Rosario. Anche lo scambio dei regali seguiva un preciso protocollo e i doni ricevuti dal fidanzato, dovevano essere gelosamente custoditi perchè, in caso di rottura del fidanzamento, dovevano essere obbligatoriamente restituiti.In prossimità della data del matrimonio vi era il rito della "moscia della tota" e dei regali ricevuti nella casa della futura sposa per i familiari dello sposo e tutto il parentado. In quest'occasione la fidanzata doveva regalare alla futura suocera uno scialle e allo sposo una camicia con i gemelli ricevendo in cambio l'abito nuziale.
(esempio di corredo della nonna 1900)
Il Salento aveva, in passato, numerose tradizioni legate al fidanzamento e al matrimonio molto interessanti da scoprire e ormai scomparse.Sin dal primo approccio i due giovani dovevano rispettare alcuni vincoli: non erano ammessi contatti diretti, ma solo in luoghi pubblici (generalmente durante la messa domenicale) e alla presenza di altre persone; la ragazza doveva difendere il suo "onore" e perciò non poteva manifestare interesse verso alcun giovane ma aspettare che questi si manifestasse per primo; non accettare subito la corte ma aspettare l'opera degli intermediari presso i familiari.Una volta che i genitori dei due giovani davano il consenso al fidanzamento anche il rapporto tra il fidanzato e i futuri suoceri dovevano seguire regole rigide e inoppugnabili: la "trasatura" cioè l'entrata in casa del fidanzato accompagnato dai genitori;
e "lu parlamentu" il contratto con il quale si stabiliva il valore della dote che i due sposi avrebbero ricevuto per il matrimonio e che doveva equivalersi; l'impossibilità d'incontri al di fuori delle mura domestiche; i modi e la frequenza settimanale delle visite della fidanzata.I due giovani non potevano sedere vicino neppure nei giorni e negli orari stabiliti per la conoscenza, erano sempre controllati dalla madre della giovane seduta al centro e potevano conversare da lontano o, molto spesso, recitare il Rosario. Anche lo scambio dei regali seguiva un preciso protocollo e i doni ricevuti dal fidanzato, dovevano essere gelosamente custoditi perchè, in caso di rottura del fidanzamento, dovevano essere obbligatoriamente restituiti.In prossimità della data del matrimonio vi era il rito della "moscia della tota" e dei regali ricevuti nella casa della futura sposa per i familiari dello sposo e tutto il parentado. In quest'occasione la fidanzata doveva regalare alla futura suocera uno scialle e allo sposo una camicia con i gemelli ricevendo in cambio l'abito nuziale.
(esempio di corredo della nonna 1900)
mercoledì 13 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA Rape ‘nfucate
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
Rape ‘nfucate
Ingredienti (per 2 persone):
1 kg di cime di rape
1/2 bicchiere di olio evo
1 goccio di vino bianco (o aceto)
peperoncino
1 foglia di alloro (facoltativa)
acqua
Procedimento: Ogni famiglia ha la sua versione e soprattutto ogni paese del Salento (quasi 100) aggiunge o toglie un ingrediente, ma il procedimento antico è sempre lo stesso. Vi riporto fedelmente la ricetta del 1910.Comprate delle cime di rape pulitele conservando i cuori e le foglioline più tenere.Ogni tanto scuotere la pentola, ma non girarle con la forchetta o altro. Trascorsa la mezz’ora buttate via l’acqua che avranno rilasciato scolandole per bene, aggiungete il mezzo bicchiere di olio, il peperoncino, l’alloro, una spruzzata di vino bianco, 1/4 di bicchiere d’acqua e poco sale. Lasciar andare fino al quasi completo assorbimento dei liquidi, senza alcun coperchio e senza girarle (i cuori diventano tenerissimi e potrebbero spappolarsi), ma solo scuotendo la pentola per smuoverle.
Sono buonissime tiepide o a temperatura ambiente (mai molto calde), come contorno, sulle bruschette, in un bel panino e perché no, per saltarci un po’ di pasta.PROVATE
SALENTO - MESTIERI "LA MAMMANA"
La mammana (levatrice)
Ma chi era realmente la mammana? Quale erano le sue mansioni? Quale il suo ruolo all’interno della comunità ristretta dei nostri paesini?
Già nel nome la mammana richiama la maternità. Era, infatti, fino a poco più di un secolo fa, colei che aiutava le donne gravide a partorire. S’incaricava, ad esempio, di far bollire l’acqua, utile alle abluzioni della mamma e del figlio, a bagnomaria per sterilizzarla; portava sempre con sé panni, forbici e garze; ripuliva il bambino dal liquido amniotico (che, se dava al pargolo un colorito giallognolo, si diceva fosse “nato con la camisa”, letteralmente significa "è nato con la camicia" cioè fortunato).Ma dava anche importanti indicazioni alle madri, come quella di mangiare per tre giorni dal parto solo brodo di pollo, per evitare febbri e per avere latte buono. La mammana non era una vera e propria ostetrica: non aveva titoli di studio né corsi di formazione alle spalle. Era solo una donna ormai esperta che si assumeva l’incarico di aiutare le gestanti del paese, peraltro non richiedendo nulla in cambio (anche se spesso avveniva che le famiglie stesse la ripagassero con qualche bene di consumo: una gallina, ortaggi, ciò che si potevano permettere).
Ma probabilmente una mammana era anche molto di più. Innanzitutto è stata una figura sociale di primo piano: ogni futura madre si rivolgeva esclusivamente a lei, era la prima a toccare e benedire ogni bambino del luogo, conosceva tutto di tutti e, anche grazie a lei, tutti venivano a sapere tutto di tutti. In tempi più remoti, in caso di bisogno, battezzava addirittura i neonati, mentre, nel secolo scorso, era lei a presentarli in chiesa per il battesimo. E’ normale, perciò, che la gente le portasse il massimo rispetto e riconoscenza.Dunque questo suo “potere” di aiutare chi dava la vita ma quello, anche, di dare la morte, la rendevano un personaggio fuori dal normale e, nell’immaginario contadino, persino magico. La sua stessa facoltà, in tempi passati, di battezzare il neonato(solo se questo fosse stato in pericolo di vita), con tutto il rituale e la gestualità che il sacramento prevedeva, doveva avere un grande impatto sull’immaginazione collettiva; anche perché il bambino che fosse morto senza il battesimo era destinato al limbo.
SALENTO - LE TRADIZIONI LA QUAREMMA
LA CAREMMA
Nel territorio salentino si personificava la Quaresima con un fantoccio di paglia, chiamato "Quaremma, Coremma o Caremma". Il fantoccio aveva le sembianze di una donna, vestita di nero, con in mano il fuso e la conocchia, si esponeva all’esterno delle case, sulle terrazze o sui balconi. In altre zone dell'Italia Meridionale la Quaremma veniva appesa ad un filo che correva da una casa all'altra, di finestra in finestra, per le vie del paese, e poi, pubblicamente bruciata o sparata con il fucile il giorno di Pasqua. Dare fuoco alla Quaremma metaforicamente significa dare fuoco alla povertà, bruciare collettivamente la miseria. C’è anche chi sostiene che la Quaremma abbia un legame con la mitologia greca classica e rappresenterebbe Cloto, una delle tre Parche greche, Il suo nome viene dal greco Klothes, ovvero filatrice, che teneva in mano la conocchia e filava il destino degli uomini.
Nel territorio salentino si personificava la Quaresima con un fantoccio di paglia, chiamato "Quaremma, Coremma o Caremma". Il fantoccio aveva le sembianze di una donna, vestita di nero, con in mano il fuso e la conocchia, si esponeva all’esterno delle case, sulle terrazze o sui balconi. In altre zone dell'Italia Meridionale la Quaremma veniva appesa ad un filo che correva da una casa all'altra, di finestra in finestra, per le vie del paese, e poi, pubblicamente bruciata o sparata con il fucile il giorno di Pasqua. Dare fuoco alla Quaremma metaforicamente significa dare fuoco alla povertà, bruciare collettivamente la miseria. C’è anche chi sostiene che la Quaremma abbia un legame con la mitologia greca classica e rappresenterebbe Cloto, una delle tre Parche greche, Il suo nome viene dal greco Klothes, ovvero filatrice, che teneva in mano la conocchia e filava il destino degli uomini.
"La Quaresima si personificava con un fantoccio di paglia, vestito da donna, generalmente chiamato Quaremma o Coremma o la vecchia. Indossava un abito scuro, con un fazzoletto in testa e stringeva nella mano un fuso e una conocchia, che simboleggiavano il lavoro. Aveva, inoltre, un'arancia con sette penne di gallina infilzate a raggiera, che rappresentavano le settimane quaresimali. Alla fine di ogni settimana se ne toglieva una e questo portava la collettività a liberarsi di tutte le mortificazioni fisiche e spirituali, e le permetteva di muoversi serena verso un nuovo clima di vita"
(Zagaglia / 1973)
martedì 12 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONI OGGI MUORE LU PAULIONO CAZZASASSI
SALENTO - TRADIZIONI
OGGI MUORE LU PAULIONO CAZZASASSI
Nei paesi, il carnevale, culminava con la “morte te lu Paulinu” che
poneva termine ai festeggiamenti e costituiva un augurio per l’anno in
corso. Lu Paulinu era un fantoccio che rappresentava sia il capro
espiatorio dei mali dell’anno prima, sia il sovrano di un auspicato
mondo di “cuccagna”. Era pieno di stracci e paglia, disteso su un
carretto adornato da festoni e carta colorata, tirato da un somaro,
mentre tre o quattro persone, con il volto annerito dalla fuliggine ne
annunciavano la morte…e in alcuni paesi usavano fare i manifesti a
morto. I festeggiamenti comprendevano il processo, la condanna, la
lettura del testamento, la morte e il funerale.
Il rito veniva
ripetuto ogni anno, accompagnato da bande musicali che suonavano sia
musica festosa che marce funebri. Il corteo poi giungeva nella piazza
centrale del paese dove il fantoccio veniva bruciato. Nelle varie
manifestazioni carnevalesche, è possibile individuare un denominatore
comune: la propiziazione ed il rinnovamento delle fecondità, in
particolare della terra, attraverso l’esorcismo della morte. E’ scurutu
lu carniale/Cu ppurpette e mmaccarruni /Mò ne tocca ll’acqua e sale /E
quattro cinque pampasciuni - E’ finito il carnevale con polpette e
maccheroni ora ci tocca acqua e sale con quattro cinque lampascioni.
venerdì 8 febbraio 2013
Il Carnevale è un periodo difficile da interpretare.
Il Carnevale è un periodo difficile da interpretare.
Di certo è un periodo magico di baldoria, durante il quale ci si dimentica dei problemi che la vita ogni giorno propone.
Esso è un intervallo che nel calendario liturgico-cristiano si colloca tra l'Epifania e la Quaresima. Riguardo alla etimologia della parola l'ipotesi più attendibile ricollega Carnevale al latino "carnem levare", cioè, alla prescrizione ecclesiastica dell'astensione dal consumo della carne. Paradossalmente, quindi, trarrebbe il nome dal suo opposto giacchè il periodo di Carnevale si caratterizza proprio dal godimento eccentuato o addirittura sregolato dei beni materiali come cibi, bevande, piaceri sessuali, almeno nelle sue origini e radici storiche. Le origini sembrano collocarsi lontane nel tempo: gli studiosi, unanimamente, fanno risalire la nascita del Carnevale ai Saturnali latini. In quei giorni i romani nel celebrare l'anniversario della costruzione del Tempio dedicato al dio Saturno, si riversavano nelle strade cantando ed osannando il padre degli Dei. Durante quei festeggiamenti veniva praticato il capovolgimento dei rapporti gerarchici ed in genere delle norme costituite della SOCIETA', sicchè i plebei potevano confondersi con i nobili e viceversa grazie ad un travestimento. Più tardi venne introdotto l'uso delle maschere, preso in prestito dai Baccanali, festeggiamenti in onore di Bacco. Presumibilmente con lo scopo di non essere riconosciuti durante le pratiche licenziose festaiole, di cui i latini erano maestri. Il Cristianesimo fece ordine nel complicato panorama delle festività romane e cercò di moderare quelle più smodate e trasgressive. Fu così che i Saturnali divennero Carnevale.
Di certo è un periodo magico di baldoria, durante il quale ci si dimentica dei problemi che la vita ogni giorno propone.
Esso è un intervallo che nel calendario liturgico-cristiano si colloca tra l'Epifania e la Quaresima. Riguardo alla etimologia della parola l'ipotesi più attendibile ricollega Carnevale al latino "carnem levare", cioè, alla prescrizione ecclesiastica dell'astensione dal consumo della carne. Paradossalmente, quindi, trarrebbe il nome dal suo opposto giacchè il periodo di Carnevale si caratterizza proprio dal godimento eccentuato o addirittura sregolato dei beni materiali come cibi, bevande, piaceri sessuali, almeno nelle sue origini e radici storiche. Le origini sembrano collocarsi lontane nel tempo: gli studiosi, unanimamente, fanno risalire la nascita del Carnevale ai Saturnali latini. In quei giorni i romani nel celebrare l'anniversario della costruzione del Tempio dedicato al dio Saturno, si riversavano nelle strade cantando ed osannando il padre degli Dei. Durante quei festeggiamenti veniva praticato il capovolgimento dei rapporti gerarchici ed in genere delle norme costituite della SOCIETA', sicchè i plebei potevano confondersi con i nobili e viceversa grazie ad un travestimento. Più tardi venne introdotto l'uso delle maschere, preso in prestito dai Baccanali, festeggiamenti in onore di Bacco. Presumibilmente con lo scopo di non essere riconosciuti durante le pratiche licenziose festaiole, di cui i latini erano maestri. Il Cristianesimo fece ordine nel complicato panorama delle festività romane e cercò di moderare quelle più smodate e trasgressive. Fu così che i Saturnali divennero Carnevale.
lunedì 4 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONE IN CUCINA
RICOTTA FRITTA
INGREDIENTI:
- 500 gr. di ricotta fresca
- olio extravergine d'oliva
- 3 uova
- pangrattato
- farina
- sale
PREPARAZIONE:
Lasciare la ricotta in frigorifero per farla compattare bene; quindi
tagliarla a fette spesse un centimetro e mezzo ed in quadrati di cinque
centimetri per lato. In una coppa sbattere le uova e salarle, in
un'altra mettere la farina ed in una terza il pangrattato.
Quindi
passare i pezzi di ricotta prima nell'uovo uno per volta, quindi nella
farina, poi ancora nell' uovo ed infine nel pangrattato. Friggere la
ricotta in una padella con olio extravergine d'oliva piuttosto
abbondante che copra integralmente la ricotta. Far dorare prima da un
lato e poi dall'altro, e far asciugare su carta assorbente.
sabato 2 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
MELANZANE IMBOTTITE
INGREDIENTI:
- Kg. 1 di melanzane
- 400 gr. di pane grattugiato
- 300 gr. di pomodori molto maturi
- 2 cucchiai di capperi
- un mazzetto di prezzemolo
- olio extravergine
- sale
- pepe origano q.b.
PREPARAZIONE:
Tagliare le melanzane, cospargerle di sale e metterle in uno scolapasta
affinché diventino meno amare. In una terrina si bagna il pangrattato
con abbondante olio, aggiungere la polpa matura dei pomodori tagliati a
tocchetti, il prezzemolo tritato, l'origano, il sale, il pepe e i
capperi pieni d'aceto. Mettere quindi su ogni fetta di melanzana parte
del composto preparato in precedenza, ricoprire con un'altra fetta e
infilzare i fagottini così ottenuti con degli stuzzicadenti. Prima di
passarli sulla brace bagnarli con un filo d'olio d'oliva. Si possono
cuocere anche in forno se caldissimo,
oppure su una griglia elettrica.
venerdì 1 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
ORECCHIETTE SALSICCIA FORMAGGIO PICCANTE
INGREDIENTI:
- 500 g di Orecchiette
- 300 g di salsiccia di maiale
- 1 Kg di passata di pomodoro
- una cipolla rossa
- origano
- vino bianco
- una foglia di alloro
- olio extra vergine di oliva
- formaggio piccante grattugiato
- sale
- pepe
PREPARAZIONE:
Tagliare gli spicchi di salsiccia e prenderne la carne. In una pentola tagliare la cipolla rossa in pezzettini e farla rosolare un po', quindi mettere la carne insieme a due foglie d'alloro. Fare rosolare e quindi aggiungere un po' di buon vino e sfumare. Aggiungere ora la passata di pomodoro, sale e pepe, coprire e far cuocere per circa 30 minuti. Cuocere le orecchiette al dente, scolarle e condirle col sugo di salsiccia, lasciare riposare qualche minuto. Mettere del formaggio piccante e un pizzico di origano, se gradito.
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