domenica 27 gennaio 2013

I tre giorni della merla

Tanto, tanto tempo fa a Milano ci fu un inverno molto rigido.
La neve scendeva dal cielo e copriva tutta la città, le strade, i giardini.
Sotto la grondaia di un palazzo in Porta Nuova c'era un nido di una famigliola di merli, che a quel tempo avevano le piume bianche come la neve. C'era la mamma merla, il papà merlo e tre piccoli uccellini, nati dopo l'estate.
La famigliola soffriva il freddo e stentava a trovare qualche briciola di pane per sfamarsi, perché le poche briciole che cadevano in terra dalle tavole degli uomini venivano subito ricoperte dalla neve che scendeva dal cielo.
Dopo qualche giorno il papà merlo prese una decisione e disse alla moglie:
"Qui non si trova nulla da mangiare, se continua così moriremo tutti di fame e di freddo. Ho un'idea, ti aiuterò a spostare il nido sul tetto del palazzo, a fianco a quel camino così mentre aspettate il mio ritorno non avrete freddo. Io parto e vado a cercare il cibo dove la neve non è ancora arrivata".
E così fu fatto: il nido fu messo vicino al camino e il papà partì. La mamma e i piccoli uccellini stavano tutto il giorno nel nido scaldandosi tra loro e anche grazie al fumo che usciva tutto il giorno dal camino.
Dopo tre giorni il papà tornò a casa e quasi non riuscì più a riconoscere la sua famiglia! Il fumo nero che usciva dal camino aveva colorato di nero tutte le piume degli uccellini!
Per fortuna da quel giorno l'inverno divenne meno rigido e i merli riuscirono a trovare cibo sufficiente per arrivare alla primavera. Da quel giorno però tutti i merli nascono con le piume nere e per ricordare la famigliola di merli bianchi divenuti neri gli ultimi tre giorni del mese di gennaio sono detti: i tre giorni della merla.

SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA


ORECHIETTE SALENTINE

ngredienti: 400 gr di salsa di pomodoro, 1 cipolla piccola, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, qualche foglia di basilico fresco, un cucchiaino di ricotta forte, sale, 500 gr di orecchiette pugliesi, Parmigiano grattugiato.

Preparazione:
Fate soffriggere nell’olio extravergine di oliva bollente la cipolla tagliata a fette sottili, quando la cipolla si sarà imbiondita aggiungete la salsa di pomodoro, un pizzico di sale. Lasciate cuocere per circa 15/20 minuti avendo l’accortezza di mescolare di tanto in tanto, a cottura ultimata, sciogliete in una tazzina la ricotta forte con qualche cucchiaino di sugo, e versare il tutto nella pentola. Cuocete al dente le orecchiette(meglio se fresche) in abbondante acqua salata e in ebollizione. A cottura avvenuta, scolatele bene. Conditele con il sugo e cospargetele di basilico tritato o semplicemente lasciato a foglioline.

venerdì 25 gennaio 2013

SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA



TURCINIEDDHRI

INGREDIENTI:

- Le interiora di un agnello da latte
- prezzemolo
- sale
- pepe (q.b.)

PREPARAZIONE:

Pulire ben bene le budella, lavarle ripetutamente sotto l'acqua corrente, e strofinarle a lungo con il sale e si rilavarle nell'acqua. Lasciare sgocciolare ed asciugare su di uno strofinaccio pulito. A questo punto aggiungere il sale, il pepe, le foglie di prezzemolo e tagliuzzare il fegato, il polmone, il cuore e legare il tutto con le budella. Sono pronte da cuocere sulla brace.

SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA (nato sotta la dominazione SPAGNOLA)



Ingredienti:

Cozze 1 kg
Riso 300 gr
Patate 5
Cipolle 2
Pomodori 5-6
Prezzemolo 1 ciuffo
Olio extravergine di oliva
Sale
Pepe

Preparazione Risotto Cozze e Patate:

Cominciamo, lavate e pulite le cozze dopodiché fatele aprire in un tegame con un cucchiaio di olio, tenete da parte il liquido di cottura.
Lavate, pelate e tagliate a fettine le patate.
Tagliate a fettine la cipolla ed i pomodori.
A questo punto prendete una teglia del diametro di 30 centimetri circa, oleate abbondantemente la superifice quindi adagiate qualche fettina di patate, qualche fettina cipolla e di pomodoro, ora aggiungete il riso e le cozze con del prezzemolo tritato; ora versate sopra il riso in modo omogeneo l'acqua di cottura delle cozze aggiungendo anche un bicchiere di acqua.
Terminate il piatto aggiungendo altre patate, cipolle e pomodori tagliati a fettine, per terminare in superficie condite con pepe, un pizzico di sale ed abbondante olio extravergine di oliva.
Infornate a 160° per 40-50 minuti, se notate che sia necessario durante la cottura potete aggiungere altra acqua, ma se avete seguito bene le istruzioni non dovrebbe essere necessario, a questo punto tirate fuori dal forno e servite, il risotto cozze e patate alla pugliese è pronto.

giovedì 24 gennaio 2013

SALENTO - TRADIZIONE IN CUCINA


CICORIE E PANCETTA

INGREDIENTI:

- kg 2 di cicorie selvatiche
- gr 500 di pancetta di maiale
- pecorino grattugiato
- una cipolla rossa
- 3 pomodori S. Marzano
- peperoncino piccante
- sale q.b.
- gr 20 di olive nere
- una foglia di alloro

PREPARAZIONE:

Pulire e lavare bene la verdura e farla lessare in abbondante acqua bollente salata. Nel frattempo, far soffriggere la cipolla nell'olio d'oliva e, quando sarà dorata, aggiungere la carne di maiale, già tagliata in piccoli pezzi. Far insaporire la carne con la cipolla, un poco di buon vino rosso sino ad evaporazione, aggiungere i pomodori spezzettati e privi di semi, la foglia di alloro, le olive ed il peperoncino. Mescolare bene, salare, alzare la fiamma ed aggiungere un po'di acqua bollente. Cuocere a fuoco moderato fino a quando la pancetta di maiale sarà tenera. Scolare le cicorie dopo averle bollite e travasarle nella pentola della carne; far cuocere insieme, a fuoco moderato, per 15 minuti. Prima di servire spolverare di pecorino grattugiato.

mercoledì 23 gennaio 2013

SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA


POLPETTE FRITTE

INGREDIENTI

½ kg Macinato di manzo
5 cucchiai Pangrattato
2 Uova
100 gr Formaggio grattugiato
Q.b. Prezzemolo e aglio tritati, sale

Preparazione

Lavorare ben bene tutti gli ingredienti, se è necessario ci possiamo aiutare con un po' di latte.
Fare quindi le nostre polpette e friggerle in olio profondo e bollente.
Lasciarle asciugare qualche minuto su carta assorbente e servire ben calde.

mercoledì 16 gennaio 2013

ITALY SALENTO

proverbi salentini

Te santu Martinu ogni mustu diventa vinu. - A S.Martino ogni mosto diventa vino.

Te Santu Pati le fave chiantati. - Di S.Pati le fave piantate.

Te Santu Pati o chiove o nivicati. - Di S.Pati o piove o nevica.

Torci lu vinchiareddhru quannu ete tennereddhru. - Piega il ramo d'ulivo quando è tenererello.

Quannu lu sciroccu rite è cchiu fessa ci lu crite. - Quando lo scirocco ride è più fesso chi gli crede.

Cielu stellatu, disciunu passatu. - Cielo stellato, digiuno passato.

Sutta la nive pane, sutta ll'acqua fame. - Sotto la neve pane, sotto l'acqua fame.

Acqua e gelu nu resta mai n'celu. - Acqua e gelo non resta mai in cielo.

Tutti li giurni falli cu ci hoi, l'urtimi giurni falli culli toi. - Tutti i giorni falli con chi vuoi, gli ultimi falli con i tuoi.

Natale ssuttu, Pasca mujusa. - Natale asciutto, Pasqua melmosa.

Natale cullu sule, Pasca cullu tizzune, ci hoi cu bene bona la stagiune. - Natale col sole, Pasqua col tizzone, se vuoi che venga buona la stagione.

Finu a Natale, né friddu, né fame, te Natale a nnanzi, tremane puru li pariti ca stannu vacanti. - Fino a Natale, né freddo, né fame, da Natale in avanti tremano anche i muri che sono vuoti.

Nu tràse mai GesuCristu allu sibburchiu, se nu n'ete quinta decima te marzu. - Non entra mai Gesù Cristo nel sepolcro se non è la quinta decima di marzo.

Carniale chinu te mbroje, osci carne e crai foje. - Carnevale pieno d'imbrogli, oggi carne e domani foglie.

Cannilora trubba, mese chiaru. - Candelora torbida, mese limpido.

Ci ta Caremma nu fila, te pasca nu minte la tila. - Chi di quaresima non tesse, di pasqua non mette il vestito.

Ci te manci lu pane ncocculutu cacci li denti te oru. - Se mangi il pane ammuffito ti escono identi di oro.

Mancia piseddhri ca te ntostane le carcagne. - mangi piselli che si induriscono i calcagni.

Ci manci cipuddhra te vene la uce - Se mangi cipolla ti viene la voce.

Ci lu stommicu bonu ole cu staje cipuddhra e tiaulicchiu aje te manciare. - Se lo stomaco bene vuole stare cipolla e peperoncino deve mangiare.

L'oiu te ulia lu male porta via. - L'olio d'oliva i mali li porta via.

Ou te caddhrina e vinu te cantina su la meju medicina. - Uovo di gallina e vino di cantina son la migliore medicina.

La ruta ogni male stuta, la marva te ogni male te sarva. - La ruta ogni male spegne, la malva da ogni male ti salva.

Ci manci sulu te nfuchi - Se mangi solo ti strozzi.

Lettu e manciare picca, vita longa e ricca. - Letto e mangiare poco, vita lunga e ricca.

Lu porcu bbinchiatu ngira la pila capisutta. - Il maiale sazio gira il piatto sottosopra.

Pé tre caddhri te sale se perde a minescia. - Per tre pizzichi di sale si perde la minestra.

Lu bbinchiatu nu crite allu disciunu. - Il sazio non crede al digiuno.

Lu ciucciu cu non'azza la cuta se la caca. - L'asino pur di non alzare la coda se la caga.

Lu primu annu core a core, lu secondu culu a culu, lu terzu caggi'nculu. - Il primo anno cuore a cuore, il secondo culo a culo, il terzo calci in culo.

Se le corne spuntavane, lu mundu era na foresta. - Se le corna spuntassero, il mondo sarebbe foresta.

Se non voi corne, no te sposare cu serve de preti e fije de mulinare. - Se non vuoi avere corna, non ti sposare con serve di preti e figlie di mulinare.

Ci vole la grazia, tocca sse trova lu santu. - Chi vuole la grazia, deve trovarsi il santo.

Lu Signore no stae an cielu cu fazza le fusa ma cu mmina croci an terra. - Il Signore non sta in cielo per fare le fusa ma a gettare croci in terra.

Ci se ccuttenta, gode e stenta. - Chi si accontenta, gode e stenta.

Lu centu per centu, mancu lu papa è cuntentu. - Al cento per cento, nemmeno il papa è contento.

Guardalu bbonu, guardalu tuttu, l'ommu senza sordi è sempre bruttu. - Guardalo bene, guardalo tutto, l'uomo senza soldi è sempre brutto.

A Ddiu ddumi na candila, allu diavulu ddoi. - A Dio accendi una candela, al diavolo due.

Li diritti su' dde li patruni li doveri, de li cuijuni. - I diritti sono dei padroni, i doveri dei coglioni.

Quandu è festa è festa. - Quando è festa e festa.

Na cipoddha nnanzi rretu no ssi càrcula - Una cipolla in più o in meno non si calcola.

Lu pane tantu ppare ca te bbinchia, ete lu sensu ca te campa. - Il pane ti sazia soltanto, ma è il "cervello" che ti fa vivere.

Sulu la morte è giusta a stu mundu. - Solo la morte è giusta a questo mondo.

Ci nu ttene furtuna, se ceca facènduse la croce. - Chi non ha fortuna, si acceca facendosi la croce.

Addhu nc'è ffumu nc'è focu, ma no sempre carne rrustuta. - Dove c'è fumo c'è fuoco, ma non sempre carne arrostita

Cinca nasce dèstinatu vince li terni senza aggia sciocatu. - Chi nasce destinato, vince i terni al lotto senza aver giocato.

Lu Sule ci te ite, te scarfa. - Il Sole se ti vede, ti scalda.

Se voi l'amicizzia cu mantegna nu panaru cu bbae e unu cu bbenga - Se vuoi che l'amicizia regga, un paniere vada e uno venga.

Panza china riposu cerca. - Pancia piena cerca riposo.

Sparagna la farina quandu la mattra è cchina, ca quandu lu fundu pare a gnenti serve lu sparagnare. - Risparmia la farina quando la madia è piena perchè quando appare il fondo non serve aniente risparmiare.

All'aria sputi? A 'nfacce te cate. - Sputi in aria? In faccia ti ricade.

Chiove a su i ricchi e a su i poveri, allu stessu modu, sulamente ca i ricchi tenine lu mbrellu. - Piove sui ricchi e sui poveri allo stesso modo, solo che i ricchi hanno l'ombrello.

Nu bonu bivitore te vinu, prima prova l'acqua e poi lu vinu. - Un buon bevitore di vino prima assaggia l'acqua e poi il vino.

U vinu face bonu u sangu. - Il vino fa buon sangue.

Meju puzzare te mieru ca te oiu santu. - Meglio puzzare di vino che di olio santo.

Quannu manci fucennu, mori prima te lu tiempu. - Quando mangi correndo muori prima del tempo.

La morte nu vaje a ci tocca, ma vaje a ci ttoppa. - La morte non va a chi spetta, ma va dove capita.

Finca alla bara sempre se mpara. - Fino alla bara sempre si impara.

Sulu alla morte nu nc'ete rimediu. - Solo alla morte non c'è rimedio.

Se unu nù more l'addhru nù gode. - Se uno non muore, l'altro non gode.

Le santa Marina la mennula ete china. - Di S.Marina la mandorla è piena.

Te santu Lorenzu lu noce è menzu. - A S.Lorenzo la noce è metà. (maturazione)

Cummare, se voi cu te nvitu, tie minti la carne e jeu mintu lu spiedu. - Commare, se vuoi che t'inviti, tu metti la carne e io metto lo spiedo.

Se vole lu Patreternu, simini a giugnu e meti de njernu. - Se vuole il Padreterno, semini a giugno e mieti d'inverno.

No n'essere cuijune comu Adamu, ca pe nu pumu perse nu sciardinu. - Non essere coglione come Adamo, che per un pomo persè un giardino.

Ce hai ca soni le campane, ca ci nun è ddevotu non ci vene. - Che ne hai che suoni le campane, se chi non è devoto non ci viene.

Amore senza rascare ssumija a cculu senza cacare. - Amore senza coire somiglia a culo senza cacare.

Ci se stuscia cu ll'ardica, lu culu li usca. - Chi si pulisce con l'ortica, il culo gli brucia.

Sulu lu culu face n'arte sula. - Solo il culo fa un'arte sola.

Ccchiù àautu se sale, cchiù cculu se mmoscia. - Più alto si sale, più culo si mostra.

Li sordi de l'avaru se li manga lu sciampagnone. - I soldi dell'avaro se li mangia il bisboccione.

Ci àve face nave, ci nu nn'àve perde ccenca àve. - Chi ha fa nave, chi non ha perde ciò che ha.

Ci manci pane e pummitoru nu vai allu duttore - Se mangi pane e pomodoro non vai dal dottore.

Peddrhe mini, peddrhe ccoji! - Sassi lanci, sassi ricevi!

'na fimmena, 'na papara e 'na picaloia ficera 'na fera! - una donna, una papera e una gazza, fecero una Fiera.

L'abbitu no face lu monacu - L'abito non fa il monaco.

Cu l'arte e cu lu ngannu se campa metà annu, cu lu ngannu e cu l'arte se campa l'addha parte. - Con l'arte e con l'inganno si campa metà anno, con l'inganno e con l'arte si campa l'altra parte.

Ogne petra azza parite, e se è grossa cunta pe ddoi. - Ogni pietra alza il muro, e se è grossa conta per due.

La caddhina face l'ou, e a lu iaddhu ni uschia lu culu. - La gallina ha fatto l'uovo, e al gallo brucia il culo.

Ci tieni tortu fanne causa, ci tieni Raggione ncordate. - Se hai torto fagli causa, se hai ragione accordati.

Puru all'infernu, è meju cu vai a cavaddhu ca all'am pete.- Pure all'inferno, è meglio andare a cavallo che a piedi.

Se allu porcu li divi la borsa, lu chiamavane eccellenza. - Se al maiale dessi la borsa, lo chiamerebbero eccellenza.

Se poi cìtere cullu mele, a ce te serve lu velenu? - Se puoi uccidere col miele, a che ti serve il veleno?

Quantu chiù forte chioe, chiù prima scampa. - Quanto più forte piove, tanto prima spiove.

La mamma de lu fessa è sempre prena. - La mamma del fesso è sempre incinta.

Lu ciucciu se canusce de le ricche, e lu fessa de le chiacchere. - L'asino si riconosce dalle orecchie, e il fesso dalle parole.

Meju curnutu ca ffessa: se si' ffessa te sannu a ddhu vai vai, se si' curnutu, sulu a ddhunca stai.- Meglio cornuto che fesso: se sei fesso ti riconoscono dovunque vai, se sei cornuto, solo dove stai.

Senza lu fessa, lu furbu no campa. - Senza il fesso, il furbo non vive.

Sfurtuna quanta voi, ma nu fessa allu giurnu lu troi. - Sfortuna quanto vuoi, ma un fesso al giorno lo trovi.

La fìmmena sape a ddhu lu diavulu tene la cuta. - La donna sa dove il diavolo tiene la coda.

Lettu e sciocu, fìmmena e focu no se ccuttentane mai de pocu. - Letto e gioco, donna e fuoco non si acontentano mai di poco

Quandu lu ciucciu raja, è cu cchiama la paja; quandu l'ommu suspira, è percè la fimmena lu tira. - Quando l'asino raglia, è per chiamare la paglia; quando l'uomo sospira, è perché la femmina lo tira.

La furtuna è puttana tutta se nnamura de ci la sfrutta. - La fortuna è puttana tutta s'innamora di chi la sfrutta.

Se l'ovu è tolutu an culu a lla caddhhina, cce sse ne futte cinca se lu mangia? - Se l'uovo è doluto in culo alla gallina, che gliene fotte a chi se lo mangia?

A tiempu de guerra, ci cchiù pote, cchiù nferra. - In tempo di guerra, chi più può, più afferra.

L'ommu face le leggi, e sse pija li privileggi. - L'uomo fa le leggi, e si prende i privilegi.

Ventre vacante maleconziju porta. - Ventre vuoto cattivo consiglio porta.

Quandu cazzi le mendule cu lu culu tou, tandu mpari cce ssu' toste. - Quando schiacci le mandorle col culo tuo, allora impari che sono dure.

Quandu non mpeti, te mpari cu nnati. - Quando non appiedi, impari a nuotare.

Ddiu no nn'è senza peccatu: stu mundu quiddhu l'à criatu. - Dio non è senza peccato: questo mondo, lui lo ha creato.

Tutti nascimu chiangendu, e nisciunu more ridendu. - Tutti nasciamo piangendo, e nessuno muore ridendo.

Quandu addhu no teni, cu mammata te curchi. - Quando altro non hai, con tua madre ti corichi.

U purpu se coce cu l'acqua soa. - Il polpo si cuoce con l'acqua sua.

Quannu nc'è oju e sale tutta l'erba ete comu pane. - Quando c'è olio e sale tutta l'erba è come il pane.

Ci te l'aje tittu ca lu pane è moddhre, lu pane è sempre tostu a ci fatica. - Chi te l'ha detto che il pane è morbido, il pane è sempre duro a chi lavora.

E' meju niuru pane ca niura fame. E' meglio il nero pane che la nera fame.

Lu giudiziu è quiddhru ca te campa, lu pane, quantu pare ca te bbinchia. - Il buonsenso è quello che ti fa vivere, il, serve a saziarti.

Lu mieru bonu ete lu bastone te li vecchi. - Il vino buono è il bastone dei vecchi.

Lu mieru face ballare li vecchi. - Il vino fa ballare i vecchi.

Mare, viti e fuci, taverna, viti e trasi. - Mare guarda e scappa, taverna guarda ed entra.

Addhru nce muti càddhri nu lucìsce mai. - Dove ci sono molti galli non fa mai giorno.

Mmara a cìnca nu se gràtta cu ll'ùgne sòi. - Povero chi non riesce a grattarsi con le unghie sue.

L'òmmu nu se mìsura a pàrmi. - L'uomo non si misura a spanne.

Te la capu mpuzzùna lu pesce. - Il pesce imputridisce dalla testa.

Ci rite urtimu, rite meju. - Chi ride ultimo ride meglio.

Nu nc'è pescju surdu te quiddhru ca nu sente. - Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

I pariti nu n'hannu occhi, ma hannu ricchie. - I muri non hanno occhi, ma hanno orecchie.

Occhiu nu bite core nu scanta. - Occhio non vede, cuore non scoppia
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lunedì 14 gennaio 2013

SALENTO - NOVOLI (LE) SANT'ANTONIO ABATE


SALENTO - NOVOLI (LE) SANT'ANTONIO ABATE
...........il 16 gennaio brucia la Focara, il fuoco più grande del Mediterraneo
Un falò di 25 metri di altezza e 20 metri di diametro: è il fuoco più grande del bacino del Mediterraneo che viene acceso a Novoli (Lecce), nel cuore del Salento nella magica notte della “Fòcara”.

Costruita con migliaia di fascine di tralci di vite secchi provenienti dai feudi del Parco del Negroamaro sapientemente posate con tecniche tramandate di padre in figlio, la “Fòcara” tornerà a bruciare il prossimo 16 gennaio 2013 in occasione delle celebrazioni della festa di Sant’Antonio Abate, patrono della città.

Una tradizione secolare che si ripete ogni anno e che vede una lunga preparazione: dall’8 dicembre, a Novoli, inizia la costruzione del grandissimo falò che si chiude con la sua accensione la sera del 16 gennaio, vigilia della festa del Patrono e giorno in cui la “Fòcara” è la vera e unica protagonista:

La mattina del 16 gennaio si compie il rito antichissimo della bardatura che vede una catena umana issare sulla cima del falò l’immagine di Sant’Antonio. Nel primo pomeriggio della stessa giornata si celebra la benedizione degli animali e appena scende la sera un avvolgente fuoco pirotecnico accompagnato da musica, innesca l’accensione della “Fòcara”. Quindi, mentre il fuoco brucia ininterrottamente, anche per più giorni, nella notte intorno alla Fòcara si balla e si degustano specialità tipiche ai ritmi di un concerto inedito che anima la piazza.

domenica 13 gennaio 2013

ITALIA - DOV'E' IL TRIBUNO !

I tribuni della plebe (latino tribuni plebis) erano magistrati dell'antica Roma istituiti nel 493 a. C. in seguito alla secessione della plebe sull'Aventino per ostacolare il tentativo dei patrizi di monopolizzare il potere: in origine due, o forse quattro in relazione alle quattro tribù-quartieri urbani, alla metà del sec. V a. C. furono fissati a dieci. Difensori degli interessi della plebe nella vita dello Stato, il loro potere poggiava di fatto sull'inviolabilità personale, che la plebe aveva giurato collettivamente di tutelare a ogni costo, e di questa si avvalevano nel porre il veto contro qualunque provvedimento emanato dai magistrati o dal Senato e nel portare aiuto ai plebei vittime di arbitrii. I tribuni erano eletti nelle assemblee della plebe (concilia plebis), duravano in carica un anno, non avevano insegne di potere, dovevano restare permanentemente a Roma; la loro casa era aperta a tutti come luogo d'asilo; potevano assistere alle riunioni del Senato, ma stando sulla porta; avevano facoltà di promuovere deliberazioni (plebiscita), che poi facevano rispettare grazie al diritto di coercizione. Gli atti dei tribuni erano custoditi sull'Aventino, nel tempio di Cerere, Libero e Libera, la triade plebea contrapposta a quella di Stato, Giove, Giunone e Minerva, sul Campidoglio: al tempio accudivano due edili che affiancavano i tribuni nell'esplicazione dei loro compiti e diventarono col tempo anche essi magistrati della città. Quello dei tribuni fu in sostanza, per circa due secoli, un compito d'ostruzionismo più che un potere costruttivo; a misura però che i ceti plebei vennero integrati nel governo dello Stato con l'ammissione alla suprema magistratura del consolato (367 a. C.) e soprattutto con il riconoscimento (286 a. C.) della piena validità dei plebiscita quali leggi dello Stato, i tribuni si trasformarono gradualmente in veri e propri magistrati dell'intero popolo romano ottenendo anch'essi, come gli altri magistrati, l'ammissione al Senato, la facoltà di convocarlo, la promulgazione di leggi vincolanti per tutti i cittadini. Solo nell'età delle riforme graccane, sul finire del sec. II a. C., i tribuni ripresero la loro originaria funzione rivoluzionaria a vantaggio dei ceti minuti. Silla con la sua azione di restaurazione oligarchica ne limitò i poteri escludendoli dalle magistrature, riducendone il diritto di veto e abolendo ogni loro iniziativa legislativa. Reintegrati nel 70 a. C., i loro attributi vennero ambiti dai capiparte in lotta per il primato nell'ultima età repubblicana, percependone la potenzialità ai fini dell'affermazione personale. Cesare si fece riconoscere la sacrosanctitas, Augusto, in tempi successivi, l'essenza dell'intero potere tribunizio (tribunicia potestas) così da potersi ergere a difensore unico, cioè patrono dei ceti plebei, in tal modo sottraendoli, a proprio vantaggio, alle clientele degli esponenti dei vari gruppi di potere. La tribunicia potestas fu assunta, col rinnovamento annuale, dai successori di Augusto: assieme al comando delle forze militari (imperium proconsulare) e al pontificato massimo venne a costituire il fondamento dei poteri del principato nella sfera militare, civile e religiosa. Il tribunato come magistratura continuò tuttavia, ma esautorato ormai nelle sue funzioni tradizionali si ridusse, con compiti amministrativi, a essere un gradino delle carriere senatorie, scomparendo solo nel sec. V d. C. § I tribuni dell'erario (latino tribuni aerarii) erano funzionari dell'antico Stato romano adibiti alla riscossione dei tributi e al pagamento degli stipendi militari: dal 70 al 46 a. C. furono temporaneamente immessi anche nelle giurie dei tribunali. § I tribuni militari (latino tribuni militum) erano gli ufficiali superiori dei sei reparti formanti la legione, reparti costituiti in epoca primitiva di mille uomini, milia, donde il nome di milites dato ai soldati. Per un certo tempo, tra il sec. V e il IV a. C., subentrarono temporaneamente e a intermittenza ai consoli annuali quali magistrati supremi dello Stato romano, per dar modo anche ai plebei di accedere al governo dello Stato, essendo ancora esclusi, fino al 367 a. C., dal consolato. I tribuni militari della legione erano eletti dal popolo limitatamente alle quattro legioni della leva annuale, gli altri erano nominati dai consoli. Essi avevano compiti più amministrativi che tattici. In età imperiale il tribunato militare era titolo di accesso ai comandi militari e alle carriere pubbliche.

sabato 12 gennaio 2013

SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA


PANZAROTTI CU LU RISO
 
INGREDIENTI:
- 500 gr. di riso
- 2 uova
- 100 gr. di formaggio grattugiato
- 200 gr. di pane grattugiato
- sale
- pepe
- olio (q.b.)

PREPARAZIONE:

Cuocere il riso come se dovessimo preparare un classico risotto, con del brodo vegetale. Lasciarlo raffreddare, quindi aggiungere del formaggio grattugiato, le uova e impastare bene. Formare dei panzerotti che si possono farcire a piacere: con tonno e capperi, con pezzetti di vari formaggi oppure con la carne macinata cotta prima nell'olio extravergine e insaporita con un po' di salsa di pomodoro. Infine, una volta ripieni chiudere bene e passarli nel pangrattato, ora friggerli in abbondante olio extravergine. Servire caldissimi.

venerdì 11 gennaio 2013

SALENTO - TRADIZIONE IN CUCINA


DENTICE ALLA GALLIPOLINA

INGREDIENTI:

- 4 fette di dentice di circa 150 g l'una
- olio extra vergine di oliva
- prezzemolo
- alloro
- pepe
- sale
- farina
- aglio
- 350 g. di pomodori freschi
- 2 acciughe
- origano.


PREPARAZIONE:

Spruzzate le fette di dentice con dell'olio e coprite con prezzemolo, alloro, sale e pepe in grani.
Dopo 2 ore circa togliete il pesce dagli aromi, salatelo e rigiratelo in farina.
Mettere dell'olio nel tegame e cuocere a fuoco vivace le fettine di dentice per ¼ d'ora circa.
A cottura ultimata mettere le fettine nel piatto di portata.
Aggiungere un po' d'olio, nello stesso tegame di cottura del dentice, insieme a uno spicchio d'aglio.
Quando l'olio sarà caldo, togliere l'aglio e versare i pomodori freschi, spellati e senza semi.
Salare, pepare e aggiungere le acciughe, facendo cuocere il tutto a fuoco vivo.
Quando la salsa sarà ristretta, versarla sulle fettine di dentice aggiungendo il prezzemolo tritato e un pizzico di pepe.

mercoledì 9 gennaio 2013

A TE DONNA


Bella, come un cielo d'agosto
forte, come una leonessa
sei forse un sogno? No, sei semplicemente tu
sei questo e molto di più.
Non ho bisogno di ammirare dee
perché ho te, che riempi la mia anima
che rendi la mia vita infinita gioia.
Beami ancor della tua luce, o mia Musa,
ancor parlami con la tua voce da sirena
tu che sei la mia ispirazione
e sei il faro della mia nave.

lunedì 7 gennaio 2013

SALENTO IL FUOCO E IL SANTO

S. Antonio Abate nacque in Egitto, a Coma, una località sulla riva sinistra del Nilo, intorno all'anno 250.
Fu un eremita tra I più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico.
Antonio, di cui conosciamo la vita grazie alla biografia scritta dal suo discepolo Atanasio, fu un insigne padre del monachesimo orientale.
Malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e li cominciò la sua vita di penitente.
Compiuta la sua scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un'antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se foste rimasto nel mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce - soprattutto di porco - allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva con digiuni e penitenze di ogni genere, riuscendo sempre a trionfare.
La sua fama di anacoreta si diffuse ben presto presso i fedeli e Antonio, che voleva vivere assolutamente distaccato dal resto del mondo, fu costretto più volte a cambiare luogo di "residenza".
Intorno al 311 si recò ad Alessandria per prestare aiuto e conforto ai Cristiani perseguitati dall'imperatore Massimiliano; poi si ritirò sul monte Qolzoum, sul mar Rosso, ma dovette tornare ad Alessandria poco tempo dopo per combattere l'eresia ariana, sempre più diffusa nelle zone orientali dell'impero.
Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: la morte lo colse infatti all'età di 105 anni, il 17 Gennaio del 355, nel suo eremo sul monte Qolzoum.
Sulla sua tomba, subito oggetto di venerazione da parte dei fedeli, furono edificati una chiesa e un monastero; le sue reliquie nel 635 furono portate a Costantinopoli, e poi sembra che siano state portate in Francia tra il sec IX e il X dove oggi si venerano nella chiesa di Saint Julian, ad Arles.
In Francia, in quel periodo, sorse l'ordine degli "Antoniani" approvato successivamente da papa Urbano II.
I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di S. Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio Abate un vero e proprio "santo" del popolo.
Egli è considerato il protettore contro le epidemie di certe malattie, sia dell'uomo, sia degli animali. E' stato invocato come protettore del bestiame e la sua effigie era collocata sulla porta delle stalle.
Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come "fuoco di Sant'Antonio" o "fuoco sacro".
Antonio è anche considerato il patrono del fuoco; secondo alcuni riti attorno alla sua figura testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica. E' nota infatti l'importanza che rivestiva presso i Celti il rituale legato al fuoco come elemento beneaugurante.

venerdì 4 gennaio 2013

SALENTO - LE TRADIZIONI "LI CUNTI"


Li cunti
Portatori di valori morali, riprendevano in larga parte i temi dominanti nella favolistica della tradizione occidentale. L'eterna lotta tra il bene e il male; la principessa o la bella prigioniera di sortilegi; il piccolo che sconfigge l'orco cattivo; l'umanizzazione del mondo degli animali; l'arguzia che sconfigge la prepotenza e la furberia; la presa in giro, anche feroce, della creduloneria popolare e tanti altri temi che vengono adattati alla cultura e all'ambiente nostrano, molte volte con elaborazioni e interpretazioni originalissime e molto efficaci. I momenti dedicati alla narrazione e alla rappresentazione erano quelle interminabili serate invernali trascorse in casa senza televisione e senza radio. Le famiglie si riunivano nelle case dei nonni materni o paterni, oppure si raggruppavano nelle case delle comari del vicinato. Le donne tessevano al telaio, lavoravano alla maglia, rammendavano, facevano la pasta, preparavano il lievito per il pane; gli uomini andavano in piazza; il nonno di turno teneva a bada i bambini per impedire che si azzuffassero fra di loro o che dessero fastidio alle donne che lavoravano. Il miglior modo, più intelligente ed efficace, era quello di incantarli con le favole. Seduti intorno al braciere o sotto al grande camino, i bambini ascoltavano con molta attenzione e partecipazione li cunti de lu nonnu (i racconti del nonno). I personaggi e le loro avventure avrebbero avuto un ruolo importante nella loro formazione, stimolandone la fantasia e animando i loro sogni notturni. Se il narratore era efficace, la rappresentazione durava ore, raccontando e ripetendo i vari cunti su sollecitazione dei bambini. E quando arrivava il momento di andare a letto, per chiudere la narrazione senza infrangere l'atmosfera magica che era riuscito a creare, era costretto a ricorrere a qualche stratagemma. Alla continua sollecitazione di nn'otru cuntu (un altro racconto) , da parte dei bambini più grandi, il più delle volte recitava una filastrocca che sembrava l'inizio di un'altra storia.Nc'era nna vota,…nna catta nchiata,…ca se bbinchiò de pulisciata,…voi te lu cuntu nn'autra fiata? C'era una volta, …una gatta gonfia, ...perché si era saziata di semolino, …vuoi che te la racconti un'altra volta?
Dopo essere stato costretto a ripeterla più volte, perché i bambini non si rassegnavano facilmente all'idea che lo spettacolo fosse finito, intervenivano i genitori che, avendo ultimato le loro faccende, comunicavano loro che era giunta l'ora di andare a nanna.

SALENTO - TRADIZIONI E PASSATEMPO


Li culacchi
Insieme ai pettegolezzi paesani tenevano banco invece nelle pause di lavoro, durante le attività lavorative leggere, durante gli incontri conviviali, nelle veglie notturne dei morti, e soprattutto durante le calde e afose notti d'estate. Lungo le strade, la gente si riuniva in capannelli più o meno numerosi, si sedeva, anche per terra, e per ore si raccontavano a turno i fatti di cronaca paesana, gli avvenimenti più significativi della giornata e culacchi di tutti i generi, fino a quando non arrivava quel "freschetto" notturno che permetteva di andare a letto con qualche probabilità di dormire.
Bambini e ragazzi sporadicamente partecipavano a queste riunioni, perché troppo impegnati nei loro giuochi che si svolgevano per la strada (lu papore, li maluni, a trentunu, lu scursune, incantesimu, sarta pinnicchie, a zumpareddhu, a cucchiaparite ed altri). Cunti, culacchi e proverbi sono sicuramente tra le più significative espressioni culturali della nostra tradizione, e varrà la pena fare delle ricerche e approfondire il tema, anche se le difficoltà sono veramente notevoli. Verso la fine di questa pubblicazione vi propongo alcuni proverbi mentre qui riporto la trama de lu cuntu dal titolo Lu Diavulu e Santu Nicola.
Si tratta di un racconto breve tra fiaba e favola, il cui tema centrale è l'eterna lotta tra il bene e il male. San Nicola (già protettore di Castrignano del Capo) con la sua arguzia riesce a dare una sonora lezione al diavolo.
L'azione si svolge nelle nostre campagne. Il diavolo, utilizzando la parte più degenere della società, porta avanti il suo progetto di impadronirsi delle coscienze degli uomini della Terra. San Nicola, per impedire che portasse a termine quel suo intento e per ricondurre all'ovile le pecorelle smarrite, non esita ad usare le maniere forti. Quando un giorno il diavolo e San Nicola si ritrovano di fronte, lo scontro è inevitabile e, cavallerescamente, decidono di regolare i conti battendosi in duello. Confidando nella sua forza fisica, il diavolo è convinto di vincere. San Nicola, in evidente difficoltà, con uno stratagemma riesce, invece, a batterlo.

SALENTO - TRADIZIONE CALAMARI


PASTA CON I CALAMARI

INGREDIENTI:

- Kg. 1 di calamari, 500 gr orecchiette
- gr. 250 di salsa di pomodoro
- gr. 200 di pomodori maturi o pelati
- un mazzetto di prezzemolo
- 2 coste di sedano
- olio
- sale
- pepe q.b.

PREPARAZIONE:

In una bella teglia unta con olio d'oliva, fare un bello strato di striscioline di calamari, metterci poi su del prezzemolo tritato, sedano, pomodori. Aggiungere quindi la salsa di pomodoro e l'olio extravergine d'oliva, sale e pepe. Coprire e cucinare a fiamma bassa. Cucinare la pasta, scolarla ancora al dente. In una bella casseruola versare la pasta con tutto il condimento, compresi i calamari. Mescolare ben bene e lasciare riposare
qualche minuto. Infine spolverata di pepe e prezzemolo fresco tritato finemente.

giovedì 3 gennaio 2013

SALENTO - TRADIZIONE LA paparina


La "paparina" è un piatto della tradizione contadina salentina.
E' uno dei tanti piatti poveri che fanno... ricca la cucina salentina,
Con questi prodotti della terra, spontanei, si preparano ricette veramente squisite, perché nutrienti e ricchie di minerali, la "paparina" è la pianta del papavero.
Si raccoglie in pieno inverno , dicembre gennaio, quando non ha ancora il fiore.
Si tagliano le radici , si eliminano eventuali foglie secche, si lava benissimo e si prepara in questo modo:
In una pentola si fa stufare dell'olio con uno spicchio di aglio ed un scantepaperoncino
Si inseriscono le "paparine" e si fanno cuocere senza aggiungere acqua, o molto poca se ve ne fosse bisogno.a fine cottura si aggiungono le olive nere di capasa il piatto è pronto.

SALENTO - LE CICORIE


CICORIE DI GALATINA
La Cicoria appartiene alla famiglia delle Compositae e i Romani la conoscevano molto bene non solo per uso alimentare ma anche per le qualità terapeutiche, infatti, Galeno, medico greco, la considerava amica del fegato. Apicio il più noto e importante esperto di gastronomia dell'epoca romana consigliava di cucinare la cicoria selvatica con garum (salsa a base di pesce), olio e cipolla affettata, dimostrando di saperla lunga in fatto di contrappunti. Già nel 1700 la radice della cicoria essiccata, tostata, macinata e preparata come infuso, era utilizzata come correttivo o surrogato del caffè, dal medico padovano Prospero Alpini che ne aveva scoperto le proprietà curative. Un uso che venne ripreso alla grande durante l'ultimo conflitto mondiale come succedaneo del caffè a quei tempi diventato una rarità assoluta.
La cicoria di Galatina si semina in semenzaio a fine Maggio- inizio Giugno per raccoglierla in Novembre-Dicembre.
Si può seminare anche a file, lasciando trenta centimetri tra le piante, occorre irrigare perchè la pianta non accetta il secco, utile pacciamare facendo attenzione ai ristagni, possono favorire i rari attacchi dell'oidio.
Il trapianto si effettua dopo circa un mese e mezzo dalla semina, con piantine che hanno 4-5 foglie, spuntando leggermente la radice a fittone, in piena terra ben livellata ad una distanza di 25-30 cm tra le piante.
La varietà di Galatina produce i cuori (puntarelle) per questo motivo viene sottoposta a tecniche di forzatura e imbianchimento come per i radicchi.
Bisogna forzare la piante come altre cicorie, come la Cicoria di Bruxelles, i radicchi, la barba di frate....
Se la temperatura lo permette ovvero se non scende oltre i 5C° lo si fa in loco, se no bisogna portarle in locali o in serre o in risorgive, tenendole sempre al buio affinché crescano i germogli centrali eziolati e privi di clorofilla.
Si tagliano le foglie a circa un centimetro abbondante dal colletto-mondate e pulite da foglie secche e marce, si seppelliscono con materiale sano e asciutto (fino al colletto con pula di riso o segatura) e poi si mettono 50-60 cm di paglia di orzo o frumento a mò di cumulo, infine si copre con un telo nero di PVC. Si può anche tenere l'ortaggio in campo a patto che sia asciutto e sano. Dopo ottobre novembre le cicorie e le catalogne per ottenere l'imbianchimento vanno ritirate in zone riscaldate. Si deve aspettare circa 28-40 giorni a seconda delle preferenze di gusto, delle temperature e della conservazione.

mercoledì 2 gennaio 2013

SALENTUM - HISTORIAE


 Lecce è la città più ricca di storia e di cultura del Salento, la città sorge su un antico insediamento messapico, ne danno testimonianza i ritrovamenti di tombe e di piccoli tratti della cinta muraria. Si pensa che questo antico insediamento messapico, era di fatto un piccolo villaggio costruito nei pressi dell’ Antica Rudiae, la patria di Quinto Ennio.

Durante il secondo secolo A.C. la città di Lecce veniva chiamata Lupiae, a quel tempo Lecce emergeva sugli altri centri della zona e diventa prima municipio e poi colonia. Durante la dominazione dell’ impero di Adriano vennero costruiti il grande Anfiteatro ed il Teatro, ed inoltre venne costruita una strada che collegava Lecce con il porto di Adriano, conosciuto oggi come Marina di San Cataldo. Con l’ imperatore Marco Aurelio, Lecce acquista benessere economico ed ebbe una forte espansione edilizia. A parte un breve periodo di dominazione Greca, Lecce è rimasta sotto il controllo dei Romani per circa cinque secoli.
La contea di Lecce venne fondata da Roberto il Giuscardo, che la trasformò in un punto di riferimento per la cultura cavalleresca. A Tancredi conte di Lecce e del Regno delle Due Sicilie, va riconosciuta la costruzione della chiesa dei S.S. Niccolò e Cataldo, divenuta oggi una dei monumenti medioevali più importanti dell’ Italia meridionale. Ai Normanni seguì la dominazione degli Svevi, e agli Svevi quella degli Angioini, i Brienne e i Del Balzo Orsini. Durante il XV secolo, Lecce divenne un importante centro commerciale ed in poco tempo si trasformò in un fulcro di ricchezza culturale che caratterizzò il Salento. Grazie a Carlo Quinto nel Salento, si respira aria nuova, era arrivato il periodo del Rinascimento Salentino.
A Lecce vennero edificati il Castello, le Mura di cinta, un arco di Trionfo, costruito per ricordare Carlo V (oggi questo monumento viene chiamato Porta Napoli) e l’ Ospedale dello Spirito Santo.
Durante il periodo spagnolo, Lecce venne considerata un importante centro artistico e culturale, subito dopo Napoli. In questo periodo Lecce si arricchì di stupendi edifici e monumenti in arte Barocca, la città aveva cambiato il suo essere, era diventata un punto di riferimento per l’ arte nel panorama nazionale. In questo periodo, vennero edificate le chiese di S. Teresa, S. Chiara, S. Angelo, il palazzo dei Celestini e la splendida piazza Duomo, il punto in cui si concentrano numerosi monumenti armoniosamente legati da un solo stile, il Barocco. In piazza Duomo infatti possiamo ammirare il Duomo, lo stupendo campanile, il Seminario ed il Palazzo Vescovile.
Nel 1592 in Piazza S. Oronzo venne costruito il Sedile, chiamato anche con il nome di Seggio, ed intorno al 1660 venne portata la colonna di S. Oronzo.
Nel 1821 Lecce mandò un esercito per opporre resistenza agli Austriaci durante i moti carbonari. Dopo l’ unità, Lecce tra il 1895 e il 1915 si sviluppò ulteriormente, e partì in questo periodo una serie di progetti atti a realizzare numerose opere pubbliche, e si iniziò a costruire fuori le mura di cinta della città. Nel 1927 la provincia di Lecce venne staccata da quella di Taranto e Brindisi, da qui parte un percorso indipendente di crescita culturale ed economica non indifferente per la città di Lecce e per il Salento. Lecce durante questo percorso nella storia, ha acquistato oggi importanza e bellezza artistica paragonabile alle più importanti città d’ Italia.