martedì 5 novembre 2013
I MIEI RICORDI
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martedì 19 marzo 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
LA MANDORLA SI TRASFORMA IN FORME PASQUALI
INGREDIENTI
1 KG Mandorle dolci
700 gr Zucchero semolato
Q.b. Acqua
Mettere a bagno in acqua tiepida le mandorle, il tempo necessario affinché si ammorbidisca la buccia e si possano pelare facilmente.
Maciniamo le mandorle insieme ad un terzo dello zucchero aiutandoci con un pò d'acqua.
In un tegame versiamo la parte restante di zucchero, un bicchiere scarso d'acqua e mettiamo sul fuoco, avendo cura di rigirare sempre aiutandosi con un cucchiaio di legno, quando lo zucchero si sarà sciolto mischiamo le mandorle precedentemente macinate. Continuiamo a cuocere, sempre mescolando, sino a quando il nostro impasto si staccherà dalla pentola.
Ora travasiamo la pasta di mandorle in un grande e ampio piatto e lasciamola raffreddare ed indurirsi.
Quando è ben fredda possiamo lavorarla e metterla nelle varie forme, agnello, pesce o quello che desideriamo, avendo cura di porre alla base della forma un velo di pellicola per talimenti, affinché ci risulti agevole toglierla dalla forma in un secondo momento.
Per maneggiarla usiamo sempre lo zucchero a velo.
La possiamo fare ripiena, farcendola con marmellata o gianduiotto
LA MANDORLA SI TRASFORMA IN FORME PASQUALI
INGREDIENTI
1 KG Mandorle dolci
700 gr Zucchero semolato
Q.b. Acqua
Mettere a bagno in acqua tiepida le mandorle, il tempo necessario affinché si ammorbidisca la buccia e si possano pelare facilmente.
Maciniamo le mandorle insieme ad un terzo dello zucchero aiutandoci con un pò d'acqua.
In un tegame versiamo la parte restante di zucchero, un bicchiere scarso d'acqua e mettiamo sul fuoco, avendo cura di rigirare sempre aiutandosi con un cucchiaio di legno, quando lo zucchero si sarà sciolto mischiamo le mandorle precedentemente macinate. Continuiamo a cuocere, sempre mescolando, sino a quando il nostro impasto si staccherà dalla pentola.
Ora travasiamo la pasta di mandorle in un grande e ampio piatto e lasciamola raffreddare ed indurirsi.
Quando è ben fredda possiamo lavorarla e metterla nelle varie forme, agnello, pesce o quello che desideriamo, avendo cura di porre alla base della forma un velo di pellicola per talimenti, affinché ci risulti agevole toglierla dalla forma in un secondo momento.
Per maneggiarla usiamo sempre lo zucchero a velo.
La possiamo fare ripiena, farcendola con marmellata o gianduiotto
sabato 16 marzo 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
MARMELLATA DI ARANCE
INGREDIENTI:
- 2 kg di arance ben mature e con molto succo
- 1 limone
- zucchero q.b.
PREPARAZIONE:
Sbucciare le arance e il limone e dividere la polpa in quattro parti, e
tagliare le bucce a striscioline sottili. Così preparate si lasciano a
bagno con due litri di acqua per ca 12 ore. Dopodiché si fanno bollire
le bucce con la polpa finché non si spappolano. Pesare la polpa così
ottenuta e aggiungere la stessa quantità di zucchero e rimettere sul
fuoco, a calore moderato, facendo bollire lentamente per un altro po'.
La marmellata é pronta.
venerdì 15 marzo 2013
Riso, patate, zucchine e cozze ( taieddhra)
Riso, patate, zucchine e cozze ( taieddhra)
portato da gli spagnoli ma i SALENTINI lo realizzarono diversamente!
INGREDIENTI
per 4 persone
1 kg Patate
600 gr Zucchine
1 kg di Cozze nere col guscio
½ kg Riso
Q.b. Olio extrav.oliva, Pepe, Prezzemolo
Aglio
Pangrattato e chi lo desidera formaggio pecorino e dolce a spolverare
Pulire esternamente e mettere le cozze chiuse in una pentola a fuoco lento, farle aprire, senza aggiungere acqua. Una volta aperte, dopo pochi minuti, raccogliere l'acqua che hanno tirato fuori, filtrarla e raccoglierla a parte.
Pulire ed affettare le patate e le zucchine, tagliarle a rondelle. In una teglia antiaderente ( la taieddhra è una teglia di terracotta per forno ) cospargere il fondo d'olio extravergine, mettere uno spicchio d'aglio, una cipolla ( possibilmente rossa ) tagliata a pezzettini molto piccoli, una spolverata di pangrattato, uno strato di patate e zucchine tagliate a fette, qualche cozza già aperta e pulita, una spolverata di riso crudo, e un'altra spolverata di prezzemolo tagliato a pezzettini, un filo d'olio.
Facciamo un altro strato di patate e zucchine, uno strato di cozze aperte a metà ( a coprire bene tutta la teglia), cioè con la sola valva inferiore ancora attaccata, una passata di riso che vada a cadere preferibilmente nelle valve delle cozze, un filo d'olio, prezzemolo tritato e spolverata di pangrattato.
Se si vogliono fare degli altri strati seguire il medesimo ordine, e spolverare appena di pepe ogni strato.
Prendere l'acqua raccolta precedentemente dalle cozze e versarla nella teglia sino a coprirne tutto il contenuto, se non è sufficiente aggiungerne altra normale.
Per ciò che riguarda il sale, quando usiamo l'acqua delle cozze, dobbiamo tenere presente che quest'ultima è già salata, e quindi dobbiamo sempre aggiungerne poco, stando attenti a non rendere la pietanza salata.
Ora copriamo la teglia con della carta stagnola e, prima di infornarla, mettiamola a cucinare per circa 20 minuti su un fuoco normale della cucina a gas, facendo attenzione che, iniziando a bollire, non fuoriesca il contenuto.
Dopodiché inforniamo il tegame , sempre avendo acceso il forno un quarto d'ora prima e ad una temperatura di 200°.
Lasciamo cucinare per almeno tre quarti d'ora.
portato da gli spagnoli ma i SALENTINI lo realizzarono diversamente!
INGREDIENTI
per 4 persone
1 kg Patate
600 gr Zucchine
1 kg di Cozze nere col guscio
½ kg Riso
Q.b. Olio extrav.oliva, Pepe, Prezzemolo
Aglio
Pangrattato e chi lo desidera formaggio pecorino e dolce a spolverare
Pulire esternamente e mettere le cozze chiuse in una pentola a fuoco lento, farle aprire, senza aggiungere acqua. Una volta aperte, dopo pochi minuti, raccogliere l'acqua che hanno tirato fuori, filtrarla e raccoglierla a parte.
Pulire ed affettare le patate e le zucchine, tagliarle a rondelle. In una teglia antiaderente ( la taieddhra è una teglia di terracotta per forno ) cospargere il fondo d'olio extravergine, mettere uno spicchio d'aglio, una cipolla ( possibilmente rossa ) tagliata a pezzettini molto piccoli, una spolverata di pangrattato, uno strato di patate e zucchine tagliate a fette, qualche cozza già aperta e pulita, una spolverata di riso crudo, e un'altra spolverata di prezzemolo tagliato a pezzettini, un filo d'olio.
Facciamo un altro strato di patate e zucchine, uno strato di cozze aperte a metà ( a coprire bene tutta la teglia), cioè con la sola valva inferiore ancora attaccata, una passata di riso che vada a cadere preferibilmente nelle valve delle cozze, un filo d'olio, prezzemolo tritato e spolverata di pangrattato.
Se si vogliono fare degli altri strati seguire il medesimo ordine, e spolverare appena di pepe ogni strato.
Prendere l'acqua raccolta precedentemente dalle cozze e versarla nella teglia sino a coprirne tutto il contenuto, se non è sufficiente aggiungerne altra normale.
Per ciò che riguarda il sale, quando usiamo l'acqua delle cozze, dobbiamo tenere presente che quest'ultima è già salata, e quindi dobbiamo sempre aggiungerne poco, stando attenti a non rendere la pietanza salata.
Ora copriamo la teglia con della carta stagnola e, prima di infornarla, mettiamola a cucinare per circa 20 minuti su un fuoco normale della cucina a gas, facendo attenzione che, iniziando a bollire, non fuoriesca il contenuto.
Dopodiché inforniamo il tegame , sempre avendo acceso il forno un quarto d'ora prima e ad una temperatura di 200°.
Lasciamo cucinare per almeno tre quarti d'ora.
lunedì 11 marzo 2013
SERVIVA E SERVIRA' UN PAPA ECONOMICO..................
Nel 1887 Papa Leone XIII fondò lo IOR, al fine di convertire le offerte dei fedeli in un fondo facilmente smobilizzabile. Successivamente, nel 1929 lo stato Italiano versò al Vaticano 100 milioni di dollari
in qualità di risarcimento per le perdite che lo Stato Pontificio aveva
subito in seguito all’unificazione d’Italia. Questo ingente patrimonio
venne affidato all’Ingegner Nogara che lo incrementò grazie a
speculazioni monetarie e ad altre operazioni di mercato nella Borsa
Valori. Investì in attività in netto contrasto con l’insegnamento cattolico, come contraccettivi ed armi, tantochè nel 1935, quando Mussolini ebbe bisogno di armi per la campagna d’Etiopia fu lo stesso Nogara a fornirgliele.
Nella seconda guerra mondiale il vaticano
si dichiaro neutrale e, come la Svizzera, fece affari con la Germania e
con Hitler permettendo ai Nazisti di depositare presso di loro i propri
beni sottratti agli Ebrei. Il Vaticano non risarcì mai le vittime dell’olocausto, restituendo loro i preziosi che i nazisti avevano trasformato in lingotti. Ancora oggi il Vaticano si riufiuta di rendere pubblici gli archivi relativi alla II guerra mondiale.
A fine guerra, mentre l’Europa era ridotta in Brandelli, il Patrimonio dell’IOR era ENORME
e diventò una vera e propria Banca dotata di un’autonoma personalità
giuridica che investiva in qualsiasi mercato promettesse rendimenti. Rendimenti sui quali non pagava alcuna imposta grazie ad una concessione dell’allora Ministro alle finanze Paolo Thaon di Revel.
Negli anni ’70 la Banca del Vaticano è fra le più potenti al mondo con aggangi ovunque: Credit
Suisse, Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, The Bankers Trust di New
York (di cui Nogara si serviva quando voleva comprare e vendere titoli a
Wall Street), Chase Manhattan, Continental Illinois National Bank.
Nogara assicurò al Vaticano partecipazioni in società che operavano nei
settori più diversi: alimentare, assicurativo, acciaio, meccanica,
cemento e beni immobili. Un susseguirsi di successi finanziari senza
precedenti per la Chiesa cattolica nei cui consigli di amministrazione sedevano i “fedelissimi” del Papa, come i 3 nipoti di Pio XII.
Tutti i proventi derivanti da queste attività sono TOP SECRET: Lo stato Vaticano non vincola l’IOR ad alcuna legislazione e tantomeno a legislazioni internazionali. Non
pubblica nenache un bilancio annuale che rende pubblici i resoconti
delle attività. Resoconti obbligatori in qualsiasi altra nazione del
mondo, democratica e non.
A ogni cliente viene semplicemente
fornita una tessera di credito con un numero codificato: né nome né
foto. Con questa si viene identificati: alle operazioni non si rilasciano ricevute, nessun documento contabile. Non ci sono nemmeno libretti di assegni intestati allo IOR!
Con il Banco Vaticano possono investire
ed aprire conti solo esponenti del mondo ecclesiastico: ordini
religiosi, diocesi, parrocchie, istituzioni e organismi cattolici,
cardinali, vescovi e monsignori, laici con cittadinanza vaticana,
diplomatici accreditati alla Santa Sede. A questi si aggiungono i
dipendenti del Vaticano e pochissime eccezioni di cui non si conoscono i
criteri di scelta.
Un altro particolare possibile solo nella Banca Vaticana (e vietato nel resto del mondo) è la valuta con cui aprire il conto: qualsiasi.
Senza alcuna differenza. In questo modo il cliente può ricevere o
trasferire soldi in qualsiasi momento “da” e “verso “qualsiasi banca
estera senza alcun controllo. Per questo, negli ambienti finanziari, si
dice che lo IOR è l’ideale per chi ha capitali che vuole far passare inosservati.
I suoi bilanci sono noti a una cerchia ristrettissima di cardinali, non
esisitono ricevute o registrazioni alcune dei flussi di denaro: qualsiasi anagrafe bancaria è IMPOSSIBILE.
Cio’ significa che la maggior
parte delle donazioni che i credenti devolvono a questi enti, invece di
essere destinati ad opere umanitarie come promesso, vengono puntualmente
investiti in attitività finanziarie a unico vantaggio dello stato del
Vaticano, unica religione ad avere un Papa che è sovrano di uno stato,
che gode di una propria banca di cui egli è l’unico azionista.
E non una banca qualsiasi: la più ricca del mondo.
E non una banca qualsiasi: la più ricca del mondo.
sabato 16 febbraio 2013
La giuncata è un formaggio tipico delle valli dell'entroterra Savonese,
la sua nascita è da attribuire alle lavorazioni nate negli alpeggi in
quanto si realizzavano i prodotti con i pochi strumenti essenziali.
Alcuni testi riportano difatti la giuncata da latte Ovino rifacendosi
appunto alle sue origini, oggi molte aziende la producono da latte
vaccino, come il campione da me degustato. La tecnologia, spiega
parecchio: il latte di due mungiture quella serale e la successiva
mattutina vengono unite, filtrate, portate ad ebollizione alla
temperatura di circa 65°c e raffreddate velocemente fino a 35°c circa.
SALENTO - TRADIZIONI LI SPONGALI (fidanzamento)
SALENTO - TRADIZIONI - LI SPONGALI (fidanzamento)
Il Salento aveva, in passato, numerose tradizioni legate al fidanzamento e al matrimonio molto interessanti da scoprire e ormai scomparse.Sin dal primo approccio i due giovani dovevano rispettare alcuni vincoli: non erano ammessi contatti diretti, ma solo in luoghi pubblici (generalmente durante la messa domenicale) e alla presenza di altre persone; la ragazza doveva difendere il suo "onore" e perciò non poteva manifestare interesse verso alcun giovane ma aspettare che questi si manifestasse per primo; non accettare subito la corte ma aspettare l'opera degli intermediari presso i familiari.Una volta che i genitori dei due giovani davano il consenso al fidanzamento anche il rapporto tra il fidanzato e i futuri suoceri dovevano seguire regole rigide e inoppugnabili: la "trasatura" cioè l'entrata in casa del fidanzato accompagnato dai genitori;
e "lu parlamentu" il contratto con il quale si stabiliva il valore della dote che i due sposi avrebbero ricevuto per il matrimonio e che doveva equivalersi; l'impossibilità d'incontri al di fuori delle mura domestiche; i modi e la frequenza settimanale delle visite della fidanzata.I due giovani non potevano sedere vicino neppure nei giorni e negli orari stabiliti per la conoscenza, erano sempre controllati dalla madre della giovane seduta al centro e potevano conversare da lontano o, molto spesso, recitare il Rosario. Anche lo scambio dei regali seguiva un preciso protocollo e i doni ricevuti dal fidanzato, dovevano essere gelosamente custoditi perchè, in caso di rottura del fidanzamento, dovevano essere obbligatoriamente restituiti.In prossimità della data del matrimonio vi era il rito della "moscia della tota" e dei regali ricevuti nella casa della futura sposa per i familiari dello sposo e tutto il parentado. In quest'occasione la fidanzata doveva regalare alla futura suocera uno scialle e allo sposo una camicia con i gemelli ricevendo in cambio l'abito nuziale.
(esempio di corredo della nonna 1900)
Il Salento aveva, in passato, numerose tradizioni legate al fidanzamento e al matrimonio molto interessanti da scoprire e ormai scomparse.Sin dal primo approccio i due giovani dovevano rispettare alcuni vincoli: non erano ammessi contatti diretti, ma solo in luoghi pubblici (generalmente durante la messa domenicale) e alla presenza di altre persone; la ragazza doveva difendere il suo "onore" e perciò non poteva manifestare interesse verso alcun giovane ma aspettare che questi si manifestasse per primo; non accettare subito la corte ma aspettare l'opera degli intermediari presso i familiari.Una volta che i genitori dei due giovani davano il consenso al fidanzamento anche il rapporto tra il fidanzato e i futuri suoceri dovevano seguire regole rigide e inoppugnabili: la "trasatura" cioè l'entrata in casa del fidanzato accompagnato dai genitori;
e "lu parlamentu" il contratto con il quale si stabiliva il valore della dote che i due sposi avrebbero ricevuto per il matrimonio e che doveva equivalersi; l'impossibilità d'incontri al di fuori delle mura domestiche; i modi e la frequenza settimanale delle visite della fidanzata.I due giovani non potevano sedere vicino neppure nei giorni e negli orari stabiliti per la conoscenza, erano sempre controllati dalla madre della giovane seduta al centro e potevano conversare da lontano o, molto spesso, recitare il Rosario. Anche lo scambio dei regali seguiva un preciso protocollo e i doni ricevuti dal fidanzato, dovevano essere gelosamente custoditi perchè, in caso di rottura del fidanzamento, dovevano essere obbligatoriamente restituiti.In prossimità della data del matrimonio vi era il rito della "moscia della tota" e dei regali ricevuti nella casa della futura sposa per i familiari dello sposo e tutto il parentado. In quest'occasione la fidanzata doveva regalare alla futura suocera uno scialle e allo sposo una camicia con i gemelli ricevendo in cambio l'abito nuziale.
(esempio di corredo della nonna 1900)
mercoledì 13 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA Rape ‘nfucate
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
Rape ‘nfucate
Ingredienti (per 2 persone):
1 kg di cime di rape
1/2 bicchiere di olio evo
1 goccio di vino bianco (o aceto)
peperoncino
1 foglia di alloro (facoltativa)
acqua
Procedimento: Ogni famiglia ha la sua versione e soprattutto ogni paese del Salento (quasi 100) aggiunge o toglie un ingrediente, ma il procedimento antico è sempre lo stesso. Vi riporto fedelmente la ricetta del 1910.Comprate delle cime di rape pulitele conservando i cuori e le foglioline più tenere.Ogni tanto scuotere la pentola, ma non girarle con la forchetta o altro. Trascorsa la mezz’ora buttate via l’acqua che avranno rilasciato scolandole per bene, aggiungete il mezzo bicchiere di olio, il peperoncino, l’alloro, una spruzzata di vino bianco, 1/4 di bicchiere d’acqua e poco sale. Lasciar andare fino al quasi completo assorbimento dei liquidi, senza alcun coperchio e senza girarle (i cuori diventano tenerissimi e potrebbero spappolarsi), ma solo scuotendo la pentola per smuoverle.
Sono buonissime tiepide o a temperatura ambiente (mai molto calde), come contorno, sulle bruschette, in un bel panino e perché no, per saltarci un po’ di pasta.PROVATE
SALENTO - MESTIERI "LA MAMMANA"
La mammana (levatrice)
Ma chi era realmente la mammana? Quale erano le sue mansioni? Quale il suo ruolo all’interno della comunità ristretta dei nostri paesini?
Già nel nome la mammana richiama la maternità. Era, infatti, fino a poco più di un secolo fa, colei che aiutava le donne gravide a partorire. S’incaricava, ad esempio, di far bollire l’acqua, utile alle abluzioni della mamma e del figlio, a bagnomaria per sterilizzarla; portava sempre con sé panni, forbici e garze; ripuliva il bambino dal liquido amniotico (che, se dava al pargolo un colorito giallognolo, si diceva fosse “nato con la camisa”, letteralmente significa "è nato con la camicia" cioè fortunato).Ma dava anche importanti indicazioni alle madri, come quella di mangiare per tre giorni dal parto solo brodo di pollo, per evitare febbri e per avere latte buono. La mammana non era una vera e propria ostetrica: non aveva titoli di studio né corsi di formazione alle spalle. Era solo una donna ormai esperta che si assumeva l’incarico di aiutare le gestanti del paese, peraltro non richiedendo nulla in cambio (anche se spesso avveniva che le famiglie stesse la ripagassero con qualche bene di consumo: una gallina, ortaggi, ciò che si potevano permettere).
Ma probabilmente una mammana era anche molto di più. Innanzitutto è stata una figura sociale di primo piano: ogni futura madre si rivolgeva esclusivamente a lei, era la prima a toccare e benedire ogni bambino del luogo, conosceva tutto di tutti e, anche grazie a lei, tutti venivano a sapere tutto di tutti. In tempi più remoti, in caso di bisogno, battezzava addirittura i neonati, mentre, nel secolo scorso, era lei a presentarli in chiesa per il battesimo. E’ normale, perciò, che la gente le portasse il massimo rispetto e riconoscenza.Dunque questo suo “potere” di aiutare chi dava la vita ma quello, anche, di dare la morte, la rendevano un personaggio fuori dal normale e, nell’immaginario contadino, persino magico. La sua stessa facoltà, in tempi passati, di battezzare il neonato(solo se questo fosse stato in pericolo di vita), con tutto il rituale e la gestualità che il sacramento prevedeva, doveva avere un grande impatto sull’immaginazione collettiva; anche perché il bambino che fosse morto senza il battesimo era destinato al limbo.
SALENTO - LE TRADIZIONI LA QUAREMMA
LA CAREMMA
Nel territorio salentino si personificava la Quaresima con un fantoccio di paglia, chiamato "Quaremma, Coremma o Caremma". Il fantoccio aveva le sembianze di una donna, vestita di nero, con in mano il fuso e la conocchia, si esponeva all’esterno delle case, sulle terrazze o sui balconi. In altre zone dell'Italia Meridionale la Quaremma veniva appesa ad un filo che correva da una casa all'altra, di finestra in finestra, per le vie del paese, e poi, pubblicamente bruciata o sparata con il fucile il giorno di Pasqua. Dare fuoco alla Quaremma metaforicamente significa dare fuoco alla povertà, bruciare collettivamente la miseria. C’è anche chi sostiene che la Quaremma abbia un legame con la mitologia greca classica e rappresenterebbe Cloto, una delle tre Parche greche, Il suo nome viene dal greco Klothes, ovvero filatrice, che teneva in mano la conocchia e filava il destino degli uomini.
Nel territorio salentino si personificava la Quaresima con un fantoccio di paglia, chiamato "Quaremma, Coremma o Caremma". Il fantoccio aveva le sembianze di una donna, vestita di nero, con in mano il fuso e la conocchia, si esponeva all’esterno delle case, sulle terrazze o sui balconi. In altre zone dell'Italia Meridionale la Quaremma veniva appesa ad un filo che correva da una casa all'altra, di finestra in finestra, per le vie del paese, e poi, pubblicamente bruciata o sparata con il fucile il giorno di Pasqua. Dare fuoco alla Quaremma metaforicamente significa dare fuoco alla povertà, bruciare collettivamente la miseria. C’è anche chi sostiene che la Quaremma abbia un legame con la mitologia greca classica e rappresenterebbe Cloto, una delle tre Parche greche, Il suo nome viene dal greco Klothes, ovvero filatrice, che teneva in mano la conocchia e filava il destino degli uomini.
"La Quaresima si personificava con un fantoccio di paglia, vestito da donna, generalmente chiamato Quaremma o Coremma o la vecchia. Indossava un abito scuro, con un fazzoletto in testa e stringeva nella mano un fuso e una conocchia, che simboleggiavano il lavoro. Aveva, inoltre, un'arancia con sette penne di gallina infilzate a raggiera, che rappresentavano le settimane quaresimali. Alla fine di ogni settimana se ne toglieva una e questo portava la collettività a liberarsi di tutte le mortificazioni fisiche e spirituali, e le permetteva di muoversi serena verso un nuovo clima di vita"
(Zagaglia / 1973)
martedì 12 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONI OGGI MUORE LU PAULIONO CAZZASASSI
SALENTO - TRADIZIONI
OGGI MUORE LU PAULIONO CAZZASASSI
Nei paesi, il carnevale, culminava con la “morte te lu Paulinu” che
poneva termine ai festeggiamenti e costituiva un augurio per l’anno in
corso. Lu Paulinu era un fantoccio che rappresentava sia il capro
espiatorio dei mali dell’anno prima, sia il sovrano di un auspicato
mondo di “cuccagna”. Era pieno di stracci e paglia, disteso su un
carretto adornato da festoni e carta colorata, tirato da un somaro,
mentre tre o quattro persone, con il volto annerito dalla fuliggine ne
annunciavano la morte…e in alcuni paesi usavano fare i manifesti a
morto. I festeggiamenti comprendevano il processo, la condanna, la
lettura del testamento, la morte e il funerale.
Il rito veniva
ripetuto ogni anno, accompagnato da bande musicali che suonavano sia
musica festosa che marce funebri. Il corteo poi giungeva nella piazza
centrale del paese dove il fantoccio veniva bruciato. Nelle varie
manifestazioni carnevalesche, è possibile individuare un denominatore
comune: la propiziazione ed il rinnovamento delle fecondità, in
particolare della terra, attraverso l’esorcismo della morte. E’ scurutu
lu carniale/Cu ppurpette e mmaccarruni /Mò ne tocca ll’acqua e sale /E
quattro cinque pampasciuni - E’ finito il carnevale con polpette e
maccheroni ora ci tocca acqua e sale con quattro cinque lampascioni.
venerdì 8 febbraio 2013
Il Carnevale è un periodo difficile da interpretare.
Il Carnevale è un periodo difficile da interpretare.
Di certo è un periodo magico di baldoria, durante il quale ci si dimentica dei problemi che la vita ogni giorno propone.
Esso è un intervallo che nel calendario liturgico-cristiano si colloca tra l'Epifania e la Quaresima. Riguardo alla etimologia della parola l'ipotesi più attendibile ricollega Carnevale al latino "carnem levare", cioè, alla prescrizione ecclesiastica dell'astensione dal consumo della carne. Paradossalmente, quindi, trarrebbe il nome dal suo opposto giacchè il periodo di Carnevale si caratterizza proprio dal godimento eccentuato o addirittura sregolato dei beni materiali come cibi, bevande, piaceri sessuali, almeno nelle sue origini e radici storiche. Le origini sembrano collocarsi lontane nel tempo: gli studiosi, unanimamente, fanno risalire la nascita del Carnevale ai Saturnali latini. In quei giorni i romani nel celebrare l'anniversario della costruzione del Tempio dedicato al dio Saturno, si riversavano nelle strade cantando ed osannando il padre degli Dei. Durante quei festeggiamenti veniva praticato il capovolgimento dei rapporti gerarchici ed in genere delle norme costituite della SOCIETA', sicchè i plebei potevano confondersi con i nobili e viceversa grazie ad un travestimento. Più tardi venne introdotto l'uso delle maschere, preso in prestito dai Baccanali, festeggiamenti in onore di Bacco. Presumibilmente con lo scopo di non essere riconosciuti durante le pratiche licenziose festaiole, di cui i latini erano maestri. Il Cristianesimo fece ordine nel complicato panorama delle festività romane e cercò di moderare quelle più smodate e trasgressive. Fu così che i Saturnali divennero Carnevale.
Di certo è un periodo magico di baldoria, durante il quale ci si dimentica dei problemi che la vita ogni giorno propone.
Esso è un intervallo che nel calendario liturgico-cristiano si colloca tra l'Epifania e la Quaresima. Riguardo alla etimologia della parola l'ipotesi più attendibile ricollega Carnevale al latino "carnem levare", cioè, alla prescrizione ecclesiastica dell'astensione dal consumo della carne. Paradossalmente, quindi, trarrebbe il nome dal suo opposto giacchè il periodo di Carnevale si caratterizza proprio dal godimento eccentuato o addirittura sregolato dei beni materiali come cibi, bevande, piaceri sessuali, almeno nelle sue origini e radici storiche. Le origini sembrano collocarsi lontane nel tempo: gli studiosi, unanimamente, fanno risalire la nascita del Carnevale ai Saturnali latini. In quei giorni i romani nel celebrare l'anniversario della costruzione del Tempio dedicato al dio Saturno, si riversavano nelle strade cantando ed osannando il padre degli Dei. Durante quei festeggiamenti veniva praticato il capovolgimento dei rapporti gerarchici ed in genere delle norme costituite della SOCIETA', sicchè i plebei potevano confondersi con i nobili e viceversa grazie ad un travestimento. Più tardi venne introdotto l'uso delle maschere, preso in prestito dai Baccanali, festeggiamenti in onore di Bacco. Presumibilmente con lo scopo di non essere riconosciuti durante le pratiche licenziose festaiole, di cui i latini erano maestri. Il Cristianesimo fece ordine nel complicato panorama delle festività romane e cercò di moderare quelle più smodate e trasgressive. Fu così che i Saturnali divennero Carnevale.
lunedì 4 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONE IN CUCINA
RICOTTA FRITTA
INGREDIENTI:
- 500 gr. di ricotta fresca
- olio extravergine d'oliva
- 3 uova
- pangrattato
- farina
- sale
PREPARAZIONE:
Lasciare la ricotta in frigorifero per farla compattare bene; quindi
tagliarla a fette spesse un centimetro e mezzo ed in quadrati di cinque
centimetri per lato. In una coppa sbattere le uova e salarle, in
un'altra mettere la farina ed in una terza il pangrattato.
Quindi
passare i pezzi di ricotta prima nell'uovo uno per volta, quindi nella
farina, poi ancora nell' uovo ed infine nel pangrattato. Friggere la
ricotta in una padella con olio extravergine d'oliva piuttosto
abbondante che copra integralmente la ricotta. Far dorare prima da un
lato e poi dall'altro, e far asciugare su carta assorbente.
sabato 2 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
MELANZANE IMBOTTITE
INGREDIENTI:
- Kg. 1 di melanzane
- 400 gr. di pane grattugiato
- 300 gr. di pomodori molto maturi
- 2 cucchiai di capperi
- un mazzetto di prezzemolo
- olio extravergine
- sale
- pepe origano q.b.
PREPARAZIONE:
Tagliare le melanzane, cospargerle di sale e metterle in uno scolapasta
affinché diventino meno amare. In una terrina si bagna il pangrattato
con abbondante olio, aggiungere la polpa matura dei pomodori tagliati a
tocchetti, il prezzemolo tritato, l'origano, il sale, il pepe e i
capperi pieni d'aceto. Mettere quindi su ogni fetta di melanzana parte
del composto preparato in precedenza, ricoprire con un'altra fetta e
infilzare i fagottini così ottenuti con degli stuzzicadenti. Prima di
passarli sulla brace bagnarli con un filo d'olio d'oliva. Si possono
cuocere anche in forno se caldissimo,
oppure su una griglia elettrica.
venerdì 1 febbraio 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
ORECCHIETTE SALSICCIA FORMAGGIO PICCANTE
INGREDIENTI:
- 500 g di Orecchiette
- 300 g di salsiccia di maiale
- 1 Kg di passata di pomodoro
- una cipolla rossa
- origano
- vino bianco
- una foglia di alloro
- olio extra vergine di oliva
- formaggio piccante grattugiato
- sale
- pepe
PREPARAZIONE:
Tagliare gli spicchi di salsiccia e prenderne la carne. In una pentola tagliare la cipolla rossa in pezzettini e farla rosolare un po', quindi mettere la carne insieme a due foglie d'alloro. Fare rosolare e quindi aggiungere un po' di buon vino e sfumare. Aggiungere ora la passata di pomodoro, sale e pepe, coprire e far cuocere per circa 30 minuti. Cuocere le orecchiette al dente, scolarle e condirle col sugo di salsiccia, lasciare riposare qualche minuto. Mettere del formaggio piccante e un pizzico di origano, se gradito.
domenica 27 gennaio 2013
I tre giorni della merla
Tanto, tanto tempo fa a Milano ci fu un inverno molto rigido.
La neve scendeva dal cielo e copriva tutta la città, le strade, i giardini.
Sotto la grondaia di un palazzo in Porta Nuova c'era un nido di una famigliola di merli, che a quel tempo avevano le piume bianche come la neve. C'era la mamma merla, il papà merlo e tre piccoli uccellini, nati dopo l'estate.
La famigliola soffriva il freddo e stentava a trovare qualche briciola di pane per sfamarsi, perché le poche briciole che cadevano in terra dalle tavole degli uomini venivano subito ricoperte dalla neve che scendeva dal cielo.
Dopo qualche giorno il papà merlo prese una decisione e disse alla moglie:
"Qui non si trova nulla da mangiare, se continua così moriremo tutti di fame e di freddo. Ho un'idea, ti aiuterò a spostare il nido sul tetto del palazzo, a fianco a quel camino così mentre aspettate il mio ritorno non avrete freddo. Io parto e vado a cercare il cibo dove la neve non è ancora arrivata".
E così fu fatto: il nido fu messo vicino al camino e il papà partì. La mamma e i piccoli uccellini stavano tutto il giorno nel nido scaldandosi tra loro e anche grazie al fumo che usciva tutto il giorno dal camino.
Dopo tre giorni il papà tornò a casa e quasi non riuscì più a riconoscere la sua famiglia! Il fumo nero che usciva dal camino aveva colorato di nero tutte le piume degli uccellini!
Per fortuna da quel giorno l'inverno divenne meno rigido e i merli riuscirono a trovare cibo sufficiente per arrivare alla primavera. Da quel giorno però tutti i merli nascono con le piume nere e per ricordare la famigliola di merli bianchi divenuti neri gli ultimi tre giorni del mese di gennaio sono detti: i tre giorni della merla.
La neve scendeva dal cielo e copriva tutta la città, le strade, i giardini.
Sotto la grondaia di un palazzo in Porta Nuova c'era un nido di una famigliola di merli, che a quel tempo avevano le piume bianche come la neve. C'era la mamma merla, il papà merlo e tre piccoli uccellini, nati dopo l'estate.
La famigliola soffriva il freddo e stentava a trovare qualche briciola di pane per sfamarsi, perché le poche briciole che cadevano in terra dalle tavole degli uomini venivano subito ricoperte dalla neve che scendeva dal cielo.
Dopo qualche giorno il papà merlo prese una decisione e disse alla moglie:
"Qui non si trova nulla da mangiare, se continua così moriremo tutti di fame e di freddo. Ho un'idea, ti aiuterò a spostare il nido sul tetto del palazzo, a fianco a quel camino così mentre aspettate il mio ritorno non avrete freddo. Io parto e vado a cercare il cibo dove la neve non è ancora arrivata".
E così fu fatto: il nido fu messo vicino al camino e il papà partì. La mamma e i piccoli uccellini stavano tutto il giorno nel nido scaldandosi tra loro e anche grazie al fumo che usciva tutto il giorno dal camino.
Dopo tre giorni il papà tornò a casa e quasi non riuscì più a riconoscere la sua famiglia! Il fumo nero che usciva dal camino aveva colorato di nero tutte le piume degli uccellini!
Per fortuna da quel giorno l'inverno divenne meno rigido e i merli riuscirono a trovare cibo sufficiente per arrivare alla primavera. Da quel giorno però tutti i merli nascono con le piume nere e per ricordare la famigliola di merli bianchi divenuti neri gli ultimi tre giorni del mese di gennaio sono detti: i tre giorni della merla.
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
ORECHIETTE SALENTINE
ngredienti: 400 gr di salsa di pomodoro, 1 cipolla piccola, 4 cucchiai
di olio extravergine di oliva, qualche foglia di basilico fresco, un
cucchiaino di ricotta forte, sale, 500 gr di orecchiette pugliesi,
Parmigiano grattugiato.
Preparazione:
Fate soffriggere
nell’olio extravergine di oliva bollente la cipolla tagliata a fette
sottili, quando la cipolla si sarà imbiondita aggiungete la salsa di
pomodoro, un pizzico di sale. Lasciate cuocere per circa 15/20 minuti
avendo l’accortezza di mescolare di tanto in tanto, a cottura ultimata,
sciogliete in una tazzina la ricotta forte con qualche cucchiaino di
sugo, e versare il tutto nella pentola. Cuocete al dente le
orecchiette(meglio se fresche) in abbondante acqua salata e in
ebollizione. A cottura avvenuta, scolatele bene. Conditele con il sugo e
cospargetele di basilico tritato o semplicemente lasciato a foglioline.
venerdì 25 gennaio 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
TURCINIEDDHRI
INGREDIENTI:
- Le interiora di un agnello da latte
- prezzemolo
- sale
- pepe (q.b.)
PREPARAZIONE:
Pulire ben bene le budella, lavarle ripetutamente sotto l'acqua
corrente, e strofinarle a lungo con il sale e si rilavarle nell'acqua.
Lasciare sgocciolare ed asciugare su di uno strofinaccio pulito. A
questo punto aggiungere il sale, il pepe, le foglie di prezzemolo e
tagliuzzare il fegato, il polmone, il cuore e legare il tutto con le
budella. Sono pronte da cuocere sulla brace.
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA (nato sotta la dominazione SPAGNOLA)
Ingredienti:
Cozze 1 kg
Riso 300 gr
Patate 5
Cipolle 2
Pomodori 5-6
Prezzemolo 1 ciuffo
Olio extravergine di oliva
Sale
Pepe
Preparazione Risotto Cozze e Patate:
Cominciamo, lavate e pulite le cozze dopodiché fatele aprire in un
tegame con un cucchiaio di olio, tenete da parte il liquido di cottura.
Lavate, pelate e tagliate a fettine le patate.
Tagliate a fettine la cipolla ed i pomodori.
A questo punto prendete una teglia del diametro di 30 centimetri circa,
oleate abbondantemente la superifice quindi adagiate qualche fettina di
patate, qualche fettina cipolla e di pomodoro, ora aggiungete il riso e
le cozze con del prezzemolo tritato; ora versate sopra il riso in modo
omogeneo l'acqua di cottura delle cozze aggiungendo anche un bicchiere
di acqua.
Terminate il piatto aggiungendo altre patate, cipolle e
pomodori tagliati a fettine, per terminare in superficie condite con
pepe, un pizzico di sale ed abbondante olio extravergine di oliva.
Infornate a 160° per 40-50 minuti, se notate che sia necessario durante
la cottura potete aggiungere altra acqua, ma se avete seguito bene le
istruzioni non dovrebbe essere necessario, a questo punto tirate fuori
dal forno e servite, il risotto cozze e patate alla pugliese è pronto.
giovedì 24 gennaio 2013
SALENTO - TRADIZIONE IN CUCINA
CICORIE E PANCETTA
INGREDIENTI:
- kg 2 di cicorie selvatiche
- gr 500 di pancetta di maiale
- pecorino grattugiato
- una cipolla rossa
- 3 pomodori S. Marzano
- peperoncino piccante
- sale q.b.
- gr 20 di olive nere
- una foglia di alloro
PREPARAZIONE:
Pulire e lavare bene la verdura e farla lessare in abbondante acqua
bollente salata. Nel frattempo, far soffriggere la cipolla nell'olio
d'oliva e, quando sarà dorata, aggiungere la carne di maiale, già
tagliata in piccoli pezzi. Far insaporire la carne con la cipolla, un
poco di buon vino rosso sino ad evaporazione, aggiungere i pomodori
spezzettati e privi di semi, la foglia di alloro, le olive ed il
peperoncino. Mescolare bene, salare, alzare la fiamma ed aggiungere un
po'di acqua bollente. Cuocere a fuoco moderato fino a quando la pancetta
di maiale sarà tenera. Scolare le cicorie dopo averle bollite e
travasarle nella pentola della carne; far cuocere insieme, a fuoco
moderato, per 15 minuti. Prima di servire spolverare di pecorino
grattugiato.
mercoledì 23 gennaio 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
POLPETTE FRITTE
INGREDIENTI
½ kg Macinato di manzo
5 cucchiai Pangrattato
2 Uova
100 gr Formaggio grattugiato
Q.b. Prezzemolo e aglio tritati, sale
Preparazione
Lavorare ben bene tutti gli ingredienti, se è necessario ci possiamo aiutare con un po' di latte.
Fare quindi le nostre polpette e friggerle in olio profondo e bollente.
Lasciarle asciugare qualche minuto su carta assorbente e servire ben calde.
mercoledì 16 gennaio 2013
ITALY SALENTO
proverbi salentini
Te santu Martinu ogni mustu diventa vinu. - A S.Martino ogni mosto diventa vino.
Te Santu Pati le fave chiantati. - Di S.Pati le fave piantate.
Te Santu Pati o chiove o nivicati. - Di S.Pati o piove o nevica.
Torci lu vinchiareddhru quannu ete tennereddhru. - Piega il ramo d'ulivo quando è tenererello.
Quannu lu sciroccu rite è cchiu fessa ci lu crite. - Quando lo scirocco ride è più fesso chi gli crede.
Cielu stellatu, disciunu passatu. - Cielo stellato, digiuno passato.
Sutta la nive pane, sutta ll'acqua fame. - Sotto la neve pane, sotto l'acqua fame.
Acqua e gelu nu resta mai n'celu. - Acqua e gelo non resta mai in cielo.
Tutti li giurni falli cu ci hoi, l'urtimi giurni falli culli toi. - Tutti i giorni falli con chi vuoi, gli ultimi falli con i tuoi.
Natale ssuttu, Pasca mujusa. - Natale asciutto, Pasqua melmosa.
Natale cullu sule, Pasca cullu tizzune, ci hoi cu bene bona la stagiune. - Natale col sole, Pasqua col tizzone, se vuoi che venga buona la stagione.
Finu a Natale, né friddu, né fame, te Natale a nnanzi, tremane puru li pariti ca stannu vacanti. - Fino a Natale, né freddo, né fame, da Natale in avanti tremano anche i muri che sono vuoti.
Nu tràse mai GesuCristu allu sibburchiu, se nu n'ete quinta decima te marzu. - Non entra mai Gesù Cristo nel sepolcro se non è la quinta decima di marzo.
Carniale chinu te mbroje, osci carne e crai foje. - Carnevale pieno d'imbrogli, oggi carne e domani foglie.
Cannilora trubba, mese chiaru. - Candelora torbida, mese limpido.
Ci ta Caremma nu fila, te pasca nu minte la tila. - Chi di quaresima non tesse, di pasqua non mette il vestito.
Ci te manci lu pane ncocculutu cacci li denti te oru. - Se mangi il pane ammuffito ti escono identi di oro.
Mancia piseddhri ca te ntostane le carcagne. - mangi piselli che si induriscono i calcagni.
Ci manci cipuddhra te vene la uce - Se mangi cipolla ti viene la voce.
Ci lu stommicu bonu ole cu staje cipuddhra e tiaulicchiu aje te manciare. - Se lo stomaco bene vuole stare cipolla e peperoncino deve mangiare.
L'oiu te ulia lu male porta via. - L'olio d'oliva i mali li porta via.
Ou te caddhrina e vinu te cantina su la meju medicina. - Uovo di gallina e vino di cantina son la migliore medicina.
La ruta ogni male stuta, la marva te ogni male te sarva. - La ruta ogni male spegne, la malva da ogni male ti salva.
Ci manci sulu te nfuchi - Se mangi solo ti strozzi.
Lettu e manciare picca, vita longa e ricca. - Letto e mangiare poco, vita lunga e ricca.
Lu porcu bbinchiatu ngira la pila capisutta. - Il maiale sazio gira il piatto sottosopra.
Pé tre caddhri te sale se perde a minescia. - Per tre pizzichi di sale si perde la minestra.
Lu bbinchiatu nu crite allu disciunu. - Il sazio non crede al digiuno.
Lu ciucciu cu non'azza la cuta se la caca. - L'asino pur di non alzare la coda se la caga.
Lu primu annu core a core, lu secondu culu a culu, lu terzu caggi'nculu. - Il primo anno cuore a cuore, il secondo culo a culo, il terzo calci in culo.
Se le corne spuntavane, lu mundu era na foresta. - Se le corna spuntassero, il mondo sarebbe foresta.
Se non voi corne, no te sposare cu serve de preti e fije de mulinare. - Se non vuoi avere corna, non ti sposare con serve di preti e figlie di mulinare.
Ci vole la grazia, tocca sse trova lu santu. - Chi vuole la grazia, deve trovarsi il santo.
Lu Signore no stae an cielu cu fazza le fusa ma cu mmina croci an terra. - Il Signore non sta in cielo per fare le fusa ma a gettare croci in terra.
Ci se ccuttenta, gode e stenta. - Chi si accontenta, gode e stenta.
Lu centu per centu, mancu lu papa è cuntentu. - Al cento per cento, nemmeno il papa è contento.
Guardalu bbonu, guardalu tuttu, l'ommu senza sordi è sempre bruttu. - Guardalo bene, guardalo tutto, l'uomo senza soldi è sempre brutto.
A Ddiu ddumi na candila, allu diavulu ddoi. - A Dio accendi una candela, al diavolo due.
Li diritti su' dde li patruni li doveri, de li cuijuni. - I diritti sono dei padroni, i doveri dei coglioni.
Quandu è festa è festa. - Quando è festa e festa.
Na cipoddha nnanzi rretu no ssi càrcula - Una cipolla in più o in meno non si calcola.
Lu pane tantu ppare ca te bbinchia, ete lu sensu ca te campa. - Il pane ti sazia soltanto, ma è il "cervello" che ti fa vivere.
Sulu la morte è giusta a stu mundu. - Solo la morte è giusta a questo mondo.
Ci nu ttene furtuna, se ceca facènduse la croce. - Chi non ha fortuna, si acceca facendosi la croce.
Addhu nc'è ffumu nc'è focu, ma no sempre carne rrustuta. - Dove c'è fumo c'è fuoco, ma non sempre carne arrostita
Cinca nasce dèstinatu vince li terni senza aggia sciocatu. - Chi nasce destinato, vince i terni al lotto senza aver giocato.
Lu Sule ci te ite, te scarfa. - Il Sole se ti vede, ti scalda.
Se voi l'amicizzia cu mantegna nu panaru cu bbae e unu cu bbenga - Se vuoi che l'amicizia regga, un paniere vada e uno venga.
Panza china riposu cerca. - Pancia piena cerca riposo.
Sparagna la farina quandu la mattra è cchina, ca quandu lu fundu pare a gnenti serve lu sparagnare. - Risparmia la farina quando la madia è piena perchè quando appare il fondo non serve aniente risparmiare.
All'aria sputi? A 'nfacce te cate. - Sputi in aria? In faccia ti ricade.
Chiove a su i ricchi e a su i poveri, allu stessu modu, sulamente ca i ricchi tenine lu mbrellu. - Piove sui ricchi e sui poveri allo stesso modo, solo che i ricchi hanno l'ombrello.
Nu bonu bivitore te vinu, prima prova l'acqua e poi lu vinu. - Un buon bevitore di vino prima assaggia l'acqua e poi il vino.
U vinu face bonu u sangu. - Il vino fa buon sangue.
Meju puzzare te mieru ca te oiu santu. - Meglio puzzare di vino che di olio santo.
Quannu manci fucennu, mori prima te lu tiempu. - Quando mangi correndo muori prima del tempo.
La morte nu vaje a ci tocca, ma vaje a ci ttoppa. - La morte non va a chi spetta, ma va dove capita.
Finca alla bara sempre se mpara. - Fino alla bara sempre si impara.
Sulu alla morte nu nc'ete rimediu. - Solo alla morte non c'è rimedio.
Se unu nù more l'addhru nù gode. - Se uno non muore, l'altro non gode.
Le santa Marina la mennula ete china. - Di S.Marina la mandorla è piena.
Te santu Lorenzu lu noce è menzu. - A S.Lorenzo la noce è metà. (maturazione)
Cummare, se voi cu te nvitu, tie minti la carne e jeu mintu lu spiedu. - Commare, se vuoi che t'inviti, tu metti la carne e io metto lo spiedo.
Se vole lu Patreternu, simini a giugnu e meti de njernu. - Se vuole il Padreterno, semini a giugno e mieti d'inverno.
No n'essere cuijune comu Adamu, ca pe nu pumu perse nu sciardinu. - Non essere coglione come Adamo, che per un pomo persè un giardino.
Ce hai ca soni le campane, ca ci nun è ddevotu non ci vene. - Che ne hai che suoni le campane, se chi non è devoto non ci viene.
Amore senza rascare ssumija a cculu senza cacare. - Amore senza coire somiglia a culo senza cacare.
Ci se stuscia cu ll'ardica, lu culu li usca. - Chi si pulisce con l'ortica, il culo gli brucia.
Sulu lu culu face n'arte sula. - Solo il culo fa un'arte sola.
Ccchiù àautu se sale, cchiù cculu se mmoscia. - Più alto si sale, più culo si mostra.
Li sordi de l'avaru se li manga lu sciampagnone. - I soldi dell'avaro se li mangia il bisboccione.
Ci àve face nave, ci nu nn'àve perde ccenca àve. - Chi ha fa nave, chi non ha perde ciò che ha.
Ci manci pane e pummitoru nu vai allu duttore - Se mangi pane e pomodoro non vai dal dottore.
Peddrhe mini, peddrhe ccoji! - Sassi lanci, sassi ricevi!
'na fimmena, 'na papara e 'na picaloia ficera 'na fera! - una donna, una papera e una gazza, fecero una Fiera.
L'abbitu no face lu monacu - L'abito non fa il monaco.
Cu l'arte e cu lu ngannu se campa metà annu, cu lu ngannu e cu l'arte se campa l'addha parte. - Con l'arte e con l'inganno si campa metà anno, con l'inganno e con l'arte si campa l'altra parte.
Ogne petra azza parite, e se è grossa cunta pe ddoi. - Ogni pietra alza il muro, e se è grossa conta per due.
La caddhina face l'ou, e a lu iaddhu ni uschia lu culu. - La gallina ha fatto l'uovo, e al gallo brucia il culo.
Ci tieni tortu fanne causa, ci tieni Raggione ncordate. - Se hai torto fagli causa, se hai ragione accordati.
Puru all'infernu, è meju cu vai a cavaddhu ca all'am pete.- Pure all'inferno, è meglio andare a cavallo che a piedi.
Se allu porcu li divi la borsa, lu chiamavane eccellenza. - Se al maiale dessi la borsa, lo chiamerebbero eccellenza.
Se poi cìtere cullu mele, a ce te serve lu velenu? - Se puoi uccidere col miele, a che ti serve il veleno?
Quantu chiù forte chioe, chiù prima scampa. - Quanto più forte piove, tanto prima spiove.
La mamma de lu fessa è sempre prena. - La mamma del fesso è sempre incinta.
Lu ciucciu se canusce de le ricche, e lu fessa de le chiacchere. - L'asino si riconosce dalle orecchie, e il fesso dalle parole.
Meju curnutu ca ffessa: se si' ffessa te sannu a ddhu vai vai, se si' curnutu, sulu a ddhunca stai.- Meglio cornuto che fesso: se sei fesso ti riconoscono dovunque vai, se sei cornuto, solo dove stai.
Senza lu fessa, lu furbu no campa. - Senza il fesso, il furbo non vive.
Sfurtuna quanta voi, ma nu fessa allu giurnu lu troi. - Sfortuna quanto vuoi, ma un fesso al giorno lo trovi.
La fìmmena sape a ddhu lu diavulu tene la cuta. - La donna sa dove il diavolo tiene la coda.
Lettu e sciocu, fìmmena e focu no se ccuttentane mai de pocu. - Letto e gioco, donna e fuoco non si acontentano mai di poco
Quandu lu ciucciu raja, è cu cchiama la paja; quandu l'ommu suspira, è percè la fimmena lu tira. - Quando l'asino raglia, è per chiamare la paglia; quando l'uomo sospira, è perché la femmina lo tira.
La furtuna è puttana tutta se nnamura de ci la sfrutta. - La fortuna è puttana tutta s'innamora di chi la sfrutta.
Se l'ovu è tolutu an culu a lla caddhhina, cce sse ne futte cinca se lu mangia? - Se l'uovo è doluto in culo alla gallina, che gliene fotte a chi se lo mangia?
A tiempu de guerra, ci cchiù pote, cchiù nferra. - In tempo di guerra, chi più può, più afferra.
L'ommu face le leggi, e sse pija li privileggi. - L'uomo fa le leggi, e si prende i privilegi.
Ventre vacante maleconziju porta. - Ventre vuoto cattivo consiglio porta.
Quandu cazzi le mendule cu lu culu tou, tandu mpari cce ssu' toste. - Quando schiacci le mandorle col culo tuo, allora impari che sono dure.
Quandu non mpeti, te mpari cu nnati. - Quando non appiedi, impari a nuotare.
Ddiu no nn'è senza peccatu: stu mundu quiddhu l'à criatu. - Dio non è senza peccato: questo mondo, lui lo ha creato.
Tutti nascimu chiangendu, e nisciunu more ridendu. - Tutti nasciamo piangendo, e nessuno muore ridendo.
Quandu addhu no teni, cu mammata te curchi. - Quando altro non hai, con tua madre ti corichi.
U purpu se coce cu l'acqua soa. - Il polpo si cuoce con l'acqua sua.
Quannu nc'è oju e sale tutta l'erba ete comu pane. - Quando c'è olio e sale tutta l'erba è come il pane.
Ci te l'aje tittu ca lu pane è moddhre, lu pane è sempre tostu a ci fatica. - Chi te l'ha detto che il pane è morbido, il pane è sempre duro a chi lavora.
E' meju niuru pane ca niura fame. E' meglio il nero pane che la nera fame.
Lu giudiziu è quiddhru ca te campa, lu pane, quantu pare ca te bbinchia. - Il buonsenso è quello che ti fa vivere, il, serve a saziarti.
Lu mieru bonu ete lu bastone te li vecchi. - Il vino buono è il bastone dei vecchi.
Lu mieru face ballare li vecchi. - Il vino fa ballare i vecchi.
Mare, viti e fuci, taverna, viti e trasi. - Mare guarda e scappa, taverna guarda ed entra.
Addhru nce muti càddhri nu lucìsce mai. - Dove ci sono molti galli non fa mai giorno.
Mmara a cìnca nu se gràtta cu ll'ùgne sòi. - Povero chi non riesce a grattarsi con le unghie sue.
L'òmmu nu se mìsura a pàrmi. - L'uomo non si misura a spanne.
Te la capu mpuzzùna lu pesce. - Il pesce imputridisce dalla testa.
Ci rite urtimu, rite meju. - Chi ride ultimo ride meglio.
Nu nc'è pescju surdu te quiddhru ca nu sente. - Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
I pariti nu n'hannu occhi, ma hannu ricchie. - I muri non hanno occhi, ma hanno orecchie.
Occhiu nu bite core nu scanta. - Occhio non vede, cuore non scoppia.
Te santu Martinu ogni mustu diventa vinu. - A S.Martino ogni mosto diventa vino.
Te Santu Pati le fave chiantati. - Di S.Pati le fave piantate.
Te Santu Pati o chiove o nivicati. - Di S.Pati o piove o nevica.
Torci lu vinchiareddhru quannu ete tennereddhru. - Piega il ramo d'ulivo quando è tenererello.
Quannu lu sciroccu rite è cchiu fessa ci lu crite. - Quando lo scirocco ride è più fesso chi gli crede.
Cielu stellatu, disciunu passatu. - Cielo stellato, digiuno passato.
Sutta la nive pane, sutta ll'acqua fame. - Sotto la neve pane, sotto l'acqua fame.
Acqua e gelu nu resta mai n'celu. - Acqua e gelo non resta mai in cielo.
Tutti li giurni falli cu ci hoi, l'urtimi giurni falli culli toi. - Tutti i giorni falli con chi vuoi, gli ultimi falli con i tuoi.
Natale ssuttu, Pasca mujusa. - Natale asciutto, Pasqua melmosa.
Natale cullu sule, Pasca cullu tizzune, ci hoi cu bene bona la stagiune. - Natale col sole, Pasqua col tizzone, se vuoi che venga buona la stagione.
Finu a Natale, né friddu, né fame, te Natale a nnanzi, tremane puru li pariti ca stannu vacanti. - Fino a Natale, né freddo, né fame, da Natale in avanti tremano anche i muri che sono vuoti.
Nu tràse mai GesuCristu allu sibburchiu, se nu n'ete quinta decima te marzu. - Non entra mai Gesù Cristo nel sepolcro se non è la quinta decima di marzo.
Carniale chinu te mbroje, osci carne e crai foje. - Carnevale pieno d'imbrogli, oggi carne e domani foglie.
Cannilora trubba, mese chiaru. - Candelora torbida, mese limpido.
Ci ta Caremma nu fila, te pasca nu minte la tila. - Chi di quaresima non tesse, di pasqua non mette il vestito.
Ci te manci lu pane ncocculutu cacci li denti te oru. - Se mangi il pane ammuffito ti escono identi di oro.
Mancia piseddhri ca te ntostane le carcagne. - mangi piselli che si induriscono i calcagni.
Ci manci cipuddhra te vene la uce - Se mangi cipolla ti viene la voce.
Ci lu stommicu bonu ole cu staje cipuddhra e tiaulicchiu aje te manciare. - Se lo stomaco bene vuole stare cipolla e peperoncino deve mangiare.
L'oiu te ulia lu male porta via. - L'olio d'oliva i mali li porta via.
Ou te caddhrina e vinu te cantina su la meju medicina. - Uovo di gallina e vino di cantina son la migliore medicina.
La ruta ogni male stuta, la marva te ogni male te sarva. - La ruta ogni male spegne, la malva da ogni male ti salva.
Ci manci sulu te nfuchi - Se mangi solo ti strozzi.
Lettu e manciare picca, vita longa e ricca. - Letto e mangiare poco, vita lunga e ricca.
Lu porcu bbinchiatu ngira la pila capisutta. - Il maiale sazio gira il piatto sottosopra.
Pé tre caddhri te sale se perde a minescia. - Per tre pizzichi di sale si perde la minestra.
Lu bbinchiatu nu crite allu disciunu. - Il sazio non crede al digiuno.
Lu ciucciu cu non'azza la cuta se la caca. - L'asino pur di non alzare la coda se la caga.
Lu primu annu core a core, lu secondu culu a culu, lu terzu caggi'nculu. - Il primo anno cuore a cuore, il secondo culo a culo, il terzo calci in culo.
Se le corne spuntavane, lu mundu era na foresta. - Se le corna spuntassero, il mondo sarebbe foresta.
Se non voi corne, no te sposare cu serve de preti e fije de mulinare. - Se non vuoi avere corna, non ti sposare con serve di preti e figlie di mulinare.
Ci vole la grazia, tocca sse trova lu santu. - Chi vuole la grazia, deve trovarsi il santo.
Lu Signore no stae an cielu cu fazza le fusa ma cu mmina croci an terra. - Il Signore non sta in cielo per fare le fusa ma a gettare croci in terra.
Ci se ccuttenta, gode e stenta. - Chi si accontenta, gode e stenta.
Lu centu per centu, mancu lu papa è cuntentu. - Al cento per cento, nemmeno il papa è contento.
Guardalu bbonu, guardalu tuttu, l'ommu senza sordi è sempre bruttu. - Guardalo bene, guardalo tutto, l'uomo senza soldi è sempre brutto.
A Ddiu ddumi na candila, allu diavulu ddoi. - A Dio accendi una candela, al diavolo due.
Li diritti su' dde li patruni li doveri, de li cuijuni. - I diritti sono dei padroni, i doveri dei coglioni.
Quandu è festa è festa. - Quando è festa e festa.
Na cipoddha nnanzi rretu no ssi càrcula - Una cipolla in più o in meno non si calcola.
Lu pane tantu ppare ca te bbinchia, ete lu sensu ca te campa. - Il pane ti sazia soltanto, ma è il "cervello" che ti fa vivere.
Sulu la morte è giusta a stu mundu. - Solo la morte è giusta a questo mondo.
Ci nu ttene furtuna, se ceca facènduse la croce. - Chi non ha fortuna, si acceca facendosi la croce.
Addhu nc'è ffumu nc'è focu, ma no sempre carne rrustuta. - Dove c'è fumo c'è fuoco, ma non sempre carne arrostita
Cinca nasce dèstinatu vince li terni senza aggia sciocatu. - Chi nasce destinato, vince i terni al lotto senza aver giocato.
Lu Sule ci te ite, te scarfa. - Il Sole se ti vede, ti scalda.
Se voi l'amicizzia cu mantegna nu panaru cu bbae e unu cu bbenga - Se vuoi che l'amicizia regga, un paniere vada e uno venga.
Panza china riposu cerca. - Pancia piena cerca riposo.
Sparagna la farina quandu la mattra è cchina, ca quandu lu fundu pare a gnenti serve lu sparagnare. - Risparmia la farina quando la madia è piena perchè quando appare il fondo non serve aniente risparmiare.
All'aria sputi? A 'nfacce te cate. - Sputi in aria? In faccia ti ricade.
Chiove a su i ricchi e a su i poveri, allu stessu modu, sulamente ca i ricchi tenine lu mbrellu. - Piove sui ricchi e sui poveri allo stesso modo, solo che i ricchi hanno l'ombrello.
Nu bonu bivitore te vinu, prima prova l'acqua e poi lu vinu. - Un buon bevitore di vino prima assaggia l'acqua e poi il vino.
U vinu face bonu u sangu. - Il vino fa buon sangue.
Meju puzzare te mieru ca te oiu santu. - Meglio puzzare di vino che di olio santo.
Quannu manci fucennu, mori prima te lu tiempu. - Quando mangi correndo muori prima del tempo.
La morte nu vaje a ci tocca, ma vaje a ci ttoppa. - La morte non va a chi spetta, ma va dove capita.
Finca alla bara sempre se mpara. - Fino alla bara sempre si impara.
Sulu alla morte nu nc'ete rimediu. - Solo alla morte non c'è rimedio.
Se unu nù more l'addhru nù gode. - Se uno non muore, l'altro non gode.
Le santa Marina la mennula ete china. - Di S.Marina la mandorla è piena.
Te santu Lorenzu lu noce è menzu. - A S.Lorenzo la noce è metà. (maturazione)
Cummare, se voi cu te nvitu, tie minti la carne e jeu mintu lu spiedu. - Commare, se vuoi che t'inviti, tu metti la carne e io metto lo spiedo.
Se vole lu Patreternu, simini a giugnu e meti de njernu. - Se vuole il Padreterno, semini a giugno e mieti d'inverno.
No n'essere cuijune comu Adamu, ca pe nu pumu perse nu sciardinu. - Non essere coglione come Adamo, che per un pomo persè un giardino.
Ce hai ca soni le campane, ca ci nun è ddevotu non ci vene. - Che ne hai che suoni le campane, se chi non è devoto non ci viene.
Amore senza rascare ssumija a cculu senza cacare. - Amore senza coire somiglia a culo senza cacare.
Ci se stuscia cu ll'ardica, lu culu li usca. - Chi si pulisce con l'ortica, il culo gli brucia.
Sulu lu culu face n'arte sula. - Solo il culo fa un'arte sola.
Ccchiù àautu se sale, cchiù cculu se mmoscia. - Più alto si sale, più culo si mostra.
Li sordi de l'avaru se li manga lu sciampagnone. - I soldi dell'avaro se li mangia il bisboccione.
Ci àve face nave, ci nu nn'àve perde ccenca àve. - Chi ha fa nave, chi non ha perde ciò che ha.
Ci manci pane e pummitoru nu vai allu duttore - Se mangi pane e pomodoro non vai dal dottore.
Peddrhe mini, peddrhe ccoji! - Sassi lanci, sassi ricevi!
'na fimmena, 'na papara e 'na picaloia ficera 'na fera! - una donna, una papera e una gazza, fecero una Fiera.
L'abbitu no face lu monacu - L'abito non fa il monaco.
Cu l'arte e cu lu ngannu se campa metà annu, cu lu ngannu e cu l'arte se campa l'addha parte. - Con l'arte e con l'inganno si campa metà anno, con l'inganno e con l'arte si campa l'altra parte.
Ogne petra azza parite, e se è grossa cunta pe ddoi. - Ogni pietra alza il muro, e se è grossa conta per due.
La caddhina face l'ou, e a lu iaddhu ni uschia lu culu. - La gallina ha fatto l'uovo, e al gallo brucia il culo.
Ci tieni tortu fanne causa, ci tieni Raggione ncordate. - Se hai torto fagli causa, se hai ragione accordati.
Puru all'infernu, è meju cu vai a cavaddhu ca all'am pete.- Pure all'inferno, è meglio andare a cavallo che a piedi.
Se allu porcu li divi la borsa, lu chiamavane eccellenza. - Se al maiale dessi la borsa, lo chiamerebbero eccellenza.
Se poi cìtere cullu mele, a ce te serve lu velenu? - Se puoi uccidere col miele, a che ti serve il veleno?
Quantu chiù forte chioe, chiù prima scampa. - Quanto più forte piove, tanto prima spiove.
La mamma de lu fessa è sempre prena. - La mamma del fesso è sempre incinta.
Lu ciucciu se canusce de le ricche, e lu fessa de le chiacchere. - L'asino si riconosce dalle orecchie, e il fesso dalle parole.
Meju curnutu ca ffessa: se si' ffessa te sannu a ddhu vai vai, se si' curnutu, sulu a ddhunca stai.- Meglio cornuto che fesso: se sei fesso ti riconoscono dovunque vai, se sei cornuto, solo dove stai.
Senza lu fessa, lu furbu no campa. - Senza il fesso, il furbo non vive.
Sfurtuna quanta voi, ma nu fessa allu giurnu lu troi. - Sfortuna quanto vuoi, ma un fesso al giorno lo trovi.
La fìmmena sape a ddhu lu diavulu tene la cuta. - La donna sa dove il diavolo tiene la coda.
Lettu e sciocu, fìmmena e focu no se ccuttentane mai de pocu. - Letto e gioco, donna e fuoco non si acontentano mai di poco
Quandu lu ciucciu raja, è cu cchiama la paja; quandu l'ommu suspira, è percè la fimmena lu tira. - Quando l'asino raglia, è per chiamare la paglia; quando l'uomo sospira, è perché la femmina lo tira.
La furtuna è puttana tutta se nnamura de ci la sfrutta. - La fortuna è puttana tutta s'innamora di chi la sfrutta.
Se l'ovu è tolutu an culu a lla caddhhina, cce sse ne futte cinca se lu mangia? - Se l'uovo è doluto in culo alla gallina, che gliene fotte a chi se lo mangia?
A tiempu de guerra, ci cchiù pote, cchiù nferra. - In tempo di guerra, chi più può, più afferra.
L'ommu face le leggi, e sse pija li privileggi. - L'uomo fa le leggi, e si prende i privilegi.
Ventre vacante maleconziju porta. - Ventre vuoto cattivo consiglio porta.
Quandu cazzi le mendule cu lu culu tou, tandu mpari cce ssu' toste. - Quando schiacci le mandorle col culo tuo, allora impari che sono dure.
Quandu non mpeti, te mpari cu nnati. - Quando non appiedi, impari a nuotare.
Ddiu no nn'è senza peccatu: stu mundu quiddhu l'à criatu. - Dio non è senza peccato: questo mondo, lui lo ha creato.
Tutti nascimu chiangendu, e nisciunu more ridendu. - Tutti nasciamo piangendo, e nessuno muore ridendo.
Quandu addhu no teni, cu mammata te curchi. - Quando altro non hai, con tua madre ti corichi.
U purpu se coce cu l'acqua soa. - Il polpo si cuoce con l'acqua sua.
Quannu nc'è oju e sale tutta l'erba ete comu pane. - Quando c'è olio e sale tutta l'erba è come il pane.
Ci te l'aje tittu ca lu pane è moddhre, lu pane è sempre tostu a ci fatica. - Chi te l'ha detto che il pane è morbido, il pane è sempre duro a chi lavora.
E' meju niuru pane ca niura fame. E' meglio il nero pane che la nera fame.
Lu giudiziu è quiddhru ca te campa, lu pane, quantu pare ca te bbinchia. - Il buonsenso è quello che ti fa vivere, il, serve a saziarti.
Lu mieru bonu ete lu bastone te li vecchi. - Il vino buono è il bastone dei vecchi.
Lu mieru face ballare li vecchi. - Il vino fa ballare i vecchi.
Mare, viti e fuci, taverna, viti e trasi. - Mare guarda e scappa, taverna guarda ed entra.
Addhru nce muti càddhri nu lucìsce mai. - Dove ci sono molti galli non fa mai giorno.
Mmara a cìnca nu se gràtta cu ll'ùgne sòi. - Povero chi non riesce a grattarsi con le unghie sue.
L'òmmu nu se mìsura a pàrmi. - L'uomo non si misura a spanne.
Te la capu mpuzzùna lu pesce. - Il pesce imputridisce dalla testa.
Ci rite urtimu, rite meju. - Chi ride ultimo ride meglio.
Nu nc'è pescju surdu te quiddhru ca nu sente. - Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
I pariti nu n'hannu occhi, ma hannu ricchie. - I muri non hanno occhi, ma hanno orecchie.
Occhiu nu bite core nu scanta. - Occhio non vede, cuore non scoppia.
lunedì 14 gennaio 2013
SALENTO - NOVOLI (LE) SANT'ANTONIO ABATE
SALENTO - NOVOLI (LE) SANT'ANTONIO ABATE
...........il 16 gennaio brucia la Focara, il fuoco più grande del Mediterraneo
Un falò di 25 metri di altezza e 20 metri di diametro: è il fuoco più
grande del bacino del Mediterraneo che viene acceso a Novoli (Lecce),
nel cuore del Salento nella magica notte della “Fòcara”.
Costruita con migliaia di fascine di tralci di vite secchi provenienti
dai feudi del Parco del Negroamaro sapientemente posate con tecniche
tramandate di padre in figlio, la “Fòcara” tornerà a bruciare il
prossimo 16 gennaio 2013 in occasione delle celebrazioni della festa di
Sant’Antonio Abate, patrono della città.
Una tradizione secolare che si ripete ogni anno e che vede una lunga
preparazione: dall’8 dicembre, a Novoli, inizia la costruzione del
grandissimo falò che si chiude con la sua accensione la sera del 16
gennaio, vigilia della festa del Patrono e giorno in cui la “Fòcara” è
la vera e unica protagonista:
La mattina del 16 gennaio si
compie il rito antichissimo della bardatura che vede una catena umana
issare sulla cima del falò l’immagine di Sant’Antonio. Nel primo
pomeriggio della stessa giornata si celebra la benedizione degli animali
e appena scende la sera un avvolgente fuoco pirotecnico accompagnato da
musica, innesca l’accensione della “Fòcara”. Quindi, mentre il fuoco
brucia ininterrottamente, anche per più giorni, nella notte intorno alla
Fòcara si balla e si degustano specialità tipiche ai ritmi di un
concerto inedito che anima la piazza.
SALENTO - NOVOLI (LE) SANT'ANTONIO ABATE
...........il 16 gennaio brucia la Focara, il fuoco più grande del Mediterraneo
Un falò di 25 metri di altezza e 20 metri di diametro: è il fuoco più grande del bacino del Mediterraneo che viene acceso a Novoli (Lecce), nel cuore del Salento nella magica notte della “Fòcara”.
Costruita con migliaia di fascine di tralci di vite secchi provenienti dai feudi del Parco del Negroamaro sapientemente posate con tecniche tramandate di padre in figlio, la “Fòcara” tornerà a bruciare il prossimo 16 gennaio 2013 in occasione delle celebrazioni della festa di Sant’Antonio Abate, patrono della città.
Una tradizione secolare che si ripete ogni anno e che vede una lunga preparazione: dall’8 dicembre, a Novoli, inizia la costruzione del grandissimo falò che si chiude con la sua accensione la sera del 16 gennaio, vigilia della festa del Patrono e giorno in cui la “Fòcara” è la vera e unica protagonista:
La mattina del 16 gennaio si compie il rito antichissimo della bardatura che vede una catena umana issare sulla cima del falò l’immagine di Sant’Antonio. Nel primo pomeriggio della stessa giornata si celebra la benedizione degli animali e appena scende la sera un avvolgente fuoco pirotecnico accompagnato da musica, innesca l’accensione della “Fòcara”. Quindi, mentre il fuoco brucia ininterrottamente, anche per più giorni, nella notte intorno alla Fòcara si balla e si degustano specialità tipiche ai ritmi di un concerto inedito che anima la piazza.
...........il 16 gennaio brucia la Focara, il fuoco più grande del Mediterraneo
Un falò di 25 metri di altezza e 20 metri di diametro: è il fuoco più grande del bacino del Mediterraneo che viene acceso a Novoli (Lecce), nel cuore del Salento nella magica notte della “Fòcara”.
Costruita con migliaia di fascine di tralci di vite secchi provenienti dai feudi del Parco del Negroamaro sapientemente posate con tecniche tramandate di padre in figlio, la “Fòcara” tornerà a bruciare il prossimo 16 gennaio 2013 in occasione delle celebrazioni della festa di Sant’Antonio Abate, patrono della città.
Una tradizione secolare che si ripete ogni anno e che vede una lunga preparazione: dall’8 dicembre, a Novoli, inizia la costruzione del grandissimo falò che si chiude con la sua accensione la sera del 16 gennaio, vigilia della festa del Patrono e giorno in cui la “Fòcara” è la vera e unica protagonista:
La mattina del 16 gennaio si compie il rito antichissimo della bardatura che vede una catena umana issare sulla cima del falò l’immagine di Sant’Antonio. Nel primo pomeriggio della stessa giornata si celebra la benedizione degli animali e appena scende la sera un avvolgente fuoco pirotecnico accompagnato da musica, innesca l’accensione della “Fòcara”. Quindi, mentre il fuoco brucia ininterrottamente, anche per più giorni, nella notte intorno alla Fòcara si balla e si degustano specialità tipiche ai ritmi di un concerto inedito che anima la piazza.
domenica 13 gennaio 2013
ITALIA - DOV'E' IL TRIBUNO !
I tribuni della plebe (latino tribuni plebis) erano magistrati dell'antica Roma istituiti nel 493 a. C. in seguito alla secessione della plebe sull'Aventino per ostacolare il tentativo dei patrizi
di monopolizzare il potere: in origine due, o forse quattro in
relazione alle quattro tribù-quartieri urbani, alla metà del sec. V a.
C. furono fissati a dieci. Difensori degli interessi della plebe nella
vita dello Stato, il loro potere poggiava di fatto sull'inviolabilità
personale, che la plebe aveva giurato collettivamente di tutelare a ogni
costo, e di questa si avvalevano nel porre il veto contro qualunque
provvedimento emanato dai magistrati o dal Senato e nel portare aiuto ai plebei vittime di arbitrii. I tribuni erano eletti nelle assemblee della plebe (concilia plebis),
duravano in carica un anno, non avevano insegne di potere, dovevano
restare permanentemente a Roma; la loro casa era aperta a tutti come
luogo d'asilo; potevano assistere alle riunioni del Senato, ma stando
sulla porta; avevano facoltà di promuovere deliberazioni (plebiscita), che poi facevano rispettare grazie al diritto di coercizione. Gli atti dei tribuni erano custoditi sull'Aventino, nel tempio di Cerere, Libero e Libera, la triade plebea contrapposta a quella di Stato, Giove, Giunone e Minerva, sul Campidoglio: al tempio accudivano due edili
che affiancavano i tribuni nell'esplicazione dei loro compiti e
diventarono col tempo anche essi magistrati della città. Quello dei
tribuni fu in sostanza, per circa due secoli, un compito d'ostruzionismo
più che un potere costruttivo; a misura però che i ceti plebei vennero
integrati nel governo dello Stato con l'ammissione alla suprema
magistratura del consolato (367 a. C.) e soprattutto con il riconoscimento (286 a. C.) della piena validità dei plebiscita
quali leggi dello Stato, i tribuni si trasformarono gradualmente in
veri e propri magistrati dell'intero popolo romano ottenendo anch'essi,
come gli altri magistrati, l'ammissione al Senato, la facoltà di
convocarlo, la promulgazione di leggi vincolanti per tutti i cittadini.
Solo nell'età delle riforme graccane, sul finire del sec. II a. C., i
tribuni ripresero la loro originaria funzione rivoluzionaria a vantaggio
dei ceti minuti. Silla
con la sua azione di restaurazione oligarchica ne limitò i poteri
escludendoli dalle magistrature, riducendone il diritto di veto e
abolendo ogni loro iniziativa legislativa. Reintegrati nel 70 a. C., i
loro attributi vennero ambiti dai capiparte in lotta per il primato
nell'ultima età repubblicana, percependone la potenzialità ai fini
dell'affermazione personale. Cesare si fece riconoscere la sacrosanctitas, Augusto, in tempi successivi, l'essenza dell'intero potere tribunizio (tribunicia potestas)
così da potersi ergere a difensore unico, cioè patrono dei ceti plebei,
in tal modo sottraendoli, a proprio vantaggio, alle clientele degli
esponenti dei vari gruppi di potere. La tribunicia potestas fu assunta, col rinnovamento annuale, dai successori di Augusto: assieme al comando delle forze militari (imperium proconsulare) e al pontificato massimo venne a costituire il fondamento dei poteri del principato
nella sfera militare, civile e religiosa. Il tribunato come
magistratura continuò tuttavia, ma esautorato ormai nelle sue funzioni
tradizionali si ridusse, con compiti amministrativi, a essere un gradino
delle carriere senatorie, scomparendo solo nel sec. V d. C. § I tribuni dell'erario (latino tribuni aerarii)
erano funzionari dell'antico Stato romano adibiti alla riscossione dei
tributi e al pagamento degli stipendi militari: dal 70 al 46 a. C.
furono temporaneamente immessi anche nelle giurie dei tribunali. § I
tribuni militari (latino tribuni militum) erano gli ufficiali superiori dei sei reparti formanti la legione, reparti costituiti in epoca primitiva di mille uomini, milia, donde il nome di milites
dato ai soldati. Per un certo tempo, tra il sec. V e il IV a. C.,
subentrarono temporaneamente e a intermittenza ai consoli annuali quali
magistrati supremi dello Stato romano, per dar modo anche ai plebei di
accedere al governo dello Stato, essendo ancora esclusi, fino al 367 a.
C., dal consolato. I tribuni militari della legione erano eletti dal
popolo limitatamente alle quattro legioni della leva annuale, gli altri
erano nominati dai consoli. Essi avevano compiti più amministrativi che
tattici. In età imperiale il tribunato militare era titolo di accesso ai
comandi militari e alle carriere pubbliche.
sabato 12 gennaio 2013
SALENTO - TRADIZIONI IN CUCINA
PANZAROTTI CU LU RISO
INGREDIENTI:
- 500 gr. di riso
- 2 uova
- 100 gr. di formaggio grattugiato
- 200 gr. di pane grattugiato
- sale
- pepe
- olio (q.b.)
PREPARAZIONE:
Cuocere il riso come se dovessimo preparare un classico risotto, con
del brodo vegetale. Lasciarlo raffreddare, quindi aggiungere del
formaggio grattugiato, le uova e impastare bene. Formare dei panzerotti
che si possono farcire a piacere: con tonno e capperi, con pezzetti di
vari formaggi oppure con la carne macinata cotta prima nell'olio
extravergine e insaporita con un po' di salsa di pomodoro. Infine, una
volta ripieni chiudere bene e passarli nel pangrattato, ora friggerli in
abbondante olio extravergine. Servire caldissimi.
venerdì 11 gennaio 2013
SALENTO - TRADIZIONE IN CUCINA
DENTICE ALLA GALLIPOLINA
INGREDIENTI:
- 4 fette di dentice di circa 150 g l'una
- olio extra vergine di oliva
- prezzemolo
- alloro
- pepe
- sale
- farina
- aglio
- 350 g. di pomodori freschi
- 2 acciughe
- origano.
PREPARAZIONE:
Spruzzate le fette di dentice con dell'olio e coprite con prezzemolo, alloro, sale e pepe in grani.
Dopo 2 ore circa togliete il pesce dagli aromi, salatelo e rigiratelo in farina.
Mettere dell'olio nel tegame e cuocere a fuoco vivace le fettine di dentice per ¼ d'ora circa.
A cottura ultimata mettere le fettine nel piatto di portata.
Aggiungere un po' d'olio, nello stesso tegame di cottura del dentice, insieme a uno spicchio d'aglio.
Quando l'olio sarà caldo, togliere l'aglio e versare i pomodori freschi, spellati e senza semi.
Salare, pepare e aggiungere le acciughe, facendo cuocere il tutto a fuoco vivo.
Quando la salsa sarà ristretta, versarla sulle fettine di dentice aggiungendo il prezzemolo tritato e un pizzico di pepe.
mercoledì 9 gennaio 2013
A TE DONNA
Bella, come un cielo d'agosto
forte, come una leonessa
sei forse un sogno? No, sei semplicemente tu
sei questo e molto di più.
Non ho bisogno di ammirare dee
perché ho te, che riempi la mia anima
che rendi la mia vita infinita gioia.
Beami ancor della tua luce, o mia Musa,
ancor parlami con la tua voce da sirena
tu che sei la mia ispirazione
e sei il faro della mia nave.
lunedì 7 gennaio 2013
SALENTO IL FUOCO E IL SANTO
S. Antonio Abate nacque in Egitto, a Coma, una località sulla riva sinistra del
Nilo, intorno all'anno 250.
Fu un eremita tra I più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico.
Antonio, di cui conosciamo la vita grazie alla biografia scritta dal suo discepolo Atanasio, fu un insigne padre del monachesimo orientale.
Malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e li cominciò la sua vita di penitente.
Compiuta la sua scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un'antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se foste rimasto nel mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce - soprattutto di porco - allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva con digiuni e penitenze di ogni genere, riuscendo sempre a trionfare.
La sua fama di anacoreta si diffuse ben presto presso i fedeli e Antonio, che voleva vivere assolutamente distaccato dal resto del mondo, fu costretto più volte a cambiare luogo di "residenza".
Intorno al 311 si recò ad Alessandria per prestare aiuto e conforto ai Cristiani perseguitati dall'imperatore Massimiliano; poi si ritirò sul monte Qolzoum, sul mar Rosso, ma dovette tornare ad Alessandria poco tempo dopo per combattere l'eresia ariana, sempre più diffusa nelle zone orientali dell'impero.
Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: la morte lo colse infatti all'età di 105 anni, il 17 Gennaio del 355, nel suo eremo sul monte Qolzoum.
Sulla sua tomba, subito oggetto di venerazione da parte dei fedeli, furono edificati una chiesa e un monastero; le sue reliquie nel 635 furono portate a Costantinopoli, e poi sembra che siano state portate in Francia tra il sec IX e il X dove oggi si venerano nella chiesa di Saint Julian, ad Arles.
In Francia, in quel periodo, sorse l'ordine degli "Antoniani" approvato successivamente da papa Urbano II.
I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di S. Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio Abate un vero e proprio "santo" del popolo.
Egli è considerato il protettore contro le epidemie di certe malattie, sia dell'uomo, sia degli animali. E' stato invocato come protettore del bestiame e la sua effigie era collocata sulla porta delle stalle.
Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come "fuoco di Sant'Antonio" o "fuoco sacro".
Antonio è anche considerato il patrono del fuoco; secondo alcuni riti attorno alla sua figura testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica. E' nota infatti l'importanza che rivestiva presso i Celti il rituale legato al fuoco come elemento beneaugurante.
Fu un eremita tra I più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico.
Antonio, di cui conosciamo la vita grazie alla biografia scritta dal suo discepolo Atanasio, fu un insigne padre del monachesimo orientale.
Malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e li cominciò la sua vita di penitente.
Compiuta la sua scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un'antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se foste rimasto nel mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce - soprattutto di porco - allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva con digiuni e penitenze di ogni genere, riuscendo sempre a trionfare.
La sua fama di anacoreta si diffuse ben presto presso i fedeli e Antonio, che voleva vivere assolutamente distaccato dal resto del mondo, fu costretto più volte a cambiare luogo di "residenza".
Intorno al 311 si recò ad Alessandria per prestare aiuto e conforto ai Cristiani perseguitati dall'imperatore Massimiliano; poi si ritirò sul monte Qolzoum, sul mar Rosso, ma dovette tornare ad Alessandria poco tempo dopo per combattere l'eresia ariana, sempre più diffusa nelle zone orientali dell'impero.
Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: la morte lo colse infatti all'età di 105 anni, il 17 Gennaio del 355, nel suo eremo sul monte Qolzoum.
Sulla sua tomba, subito oggetto di venerazione da parte dei fedeli, furono edificati una chiesa e un monastero; le sue reliquie nel 635 furono portate a Costantinopoli, e poi sembra che siano state portate in Francia tra il sec IX e il X dove oggi si venerano nella chiesa di Saint Julian, ad Arles.
In Francia, in quel periodo, sorse l'ordine degli "Antoniani" approvato successivamente da papa Urbano II.
I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di S. Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio Abate un vero e proprio "santo" del popolo.
Egli è considerato il protettore contro le epidemie di certe malattie, sia dell'uomo, sia degli animali. E' stato invocato come protettore del bestiame e la sua effigie era collocata sulla porta delle stalle.
Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come "fuoco di Sant'Antonio" o "fuoco sacro".
Antonio è anche considerato il patrono del fuoco; secondo alcuni riti attorno alla sua figura testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica. E' nota infatti l'importanza che rivestiva presso i Celti il rituale legato al fuoco come elemento beneaugurante.
venerdì 4 gennaio 2013
SALENTO - LE TRADIZIONI "LI CUNTI"
Li cunti
Portatori di valori morali, riprendevano in larga parte i temi dominanti nella favolistica della tradizione occidentale. L'eterna lotta tra il bene e il male; la principessa o la bella prigioniera di sortilegi; il piccolo che sconfigge l'orco cattivo; l'umanizzazione del mondo degli animali; l'arguzia che sconfigge la prepotenza e la furberia; la presa in giro, anche feroce, della creduloneria popolare e tanti altri temi che vengono adattati alla cultura e all'ambiente nostrano, molte volte con elaborazioni e interpretazioni originalissime e molto efficaci. I momenti dedicati alla narrazione e alla rappresentazione erano quelle interminabili serate invernali trascorse in casa senza televisione e senza radio. Le famiglie si riunivano nelle case dei nonni materni o paterni, oppure si raggruppavano nelle case delle comari del vicinato. Le donne tessevano al telaio, lavoravano alla maglia, rammendavano, facevano la pasta, preparavano il lievito per il pane; gli uomini andavano in piazza; il nonno di turno teneva a bada i bambini per impedire che si azzuffassero fra di loro o che dessero fastidio alle donne che lavoravano. Il miglior modo, più intelligente ed efficace, era quello di incantarli con le favole. Seduti intorno al braciere o sotto al grande camino, i bambini ascoltavano con molta attenzione e partecipazione li cunti de lu nonnu (i racconti del nonno). I personaggi e le loro avventure avrebbero avuto un ruolo importante nella loro formazione, stimolandone la fantasia e animando i loro sogni notturni. Se il narratore era efficace, la rappresentazione durava ore, raccontando e ripetendo i vari cunti su sollecitazione dei bambini. E quando arrivava il momento di andare a letto, per chiudere la narrazione senza infrangere l'atmosfera magica che era riuscito a creare, era costretto a ricorrere a qualche stratagemma. Alla continua sollecitazione di nn'otru cuntu (un altro racconto) , da parte dei bambini più grandi, il più delle volte recitava una filastrocca che sembrava l'inizio di un'altra storia.Nc'era nna vota,…nna catta nchiata,…ca se bbinchiò de pulisciata,…voi te lu cuntu nn'autra fiata? C'era una volta, …una gatta gonfia, ...perché si era saziata di semolino, …vuoi che te la racconti un'altra volta?
Dopo essere stato costretto a ripeterla più volte, perché i bambini non si rassegnavano facilmente all'idea che lo spettacolo fosse finito, intervenivano i genitori che, avendo ultimato le loro faccende, comunicavano loro che era giunta l'ora di andare a nanna.
SALENTO - TRADIZIONI E PASSATEMPO
Li culacchi
Insieme ai pettegolezzi paesani tenevano banco invece nelle pause di lavoro, durante le attività lavorative leggere, durante gli incontri conviviali, nelle veglie notturne dei morti, e soprattutto durante le calde e afose notti d'estate. Lungo le strade, la gente si riuniva in capannelli più o meno numerosi, si sedeva, anche per terra, e per ore si raccontavano a turno i fatti di cronaca paesana, gli avvenimenti più significativi della giornata e culacchi di tutti i generi, fino a quando non arrivava quel "freschetto" notturno che permetteva di andare a letto con qualche probabilità di dormire.
Bambini e ragazzi sporadicamente partecipavano a queste riunioni, perché troppo impegnati nei loro giuochi che si svolgevano per la strada (lu papore, li maluni, a trentunu, lu scursune, incantesimu, sarta pinnicchie, a zumpareddhu, a cucchiaparite ed altri). Cunti, culacchi e proverbi sono sicuramente tra le più significative espressioni culturali della nostra tradizione, e varrà la pena fare delle ricerche e approfondire il tema, anche se le difficoltà sono veramente notevoli. Verso la fine di questa pubblicazione vi propongo alcuni proverbi mentre qui riporto la trama de lu cuntu dal titolo Lu Diavulu e Santu Nicola.
Si tratta di un racconto breve tra fiaba e favola, il cui tema centrale è l'eterna lotta tra il bene e il male. San Nicola (già protettore di Castrignano del Capo) con la sua arguzia riesce a dare una sonora lezione al diavolo.
L'azione si svolge nelle nostre campagne. Il diavolo, utilizzando la parte più degenere della società, porta avanti il suo progetto di impadronirsi delle coscienze degli uomini della Terra. San Nicola, per impedire che portasse a termine quel suo intento e per ricondurre all'ovile le pecorelle smarrite, non esita ad usare le maniere forti. Quando un giorno il diavolo e San Nicola si ritrovano di fronte, lo scontro è inevitabile e, cavallerescamente, decidono di regolare i conti battendosi in duello. Confidando nella sua forza fisica, il diavolo è convinto di vincere. San Nicola, in evidente difficoltà, con uno stratagemma riesce, invece, a batterlo.
SALENTO - TRADIZIONE CALAMARI
PASTA CON I CALAMARI
INGREDIENTI:
- Kg. 1 di calamari, 500 gr orecchiette
- gr. 250 di salsa di pomodoro
- gr. 200 di pomodori maturi o pelati
- un mazzetto di prezzemolo
- 2 coste di sedano
- olio
- sale
- pepe q.b.
PREPARAZIONE:
In una bella teglia unta con olio d'oliva, fare un bello strato di
striscioline di calamari, metterci poi su del prezzemolo tritato,
sedano, pomodori. Aggiungere quindi la salsa di pomodoro e l'olio
extravergine d'oliva, sale e pepe. Coprire e cucinare a fiamma bassa.
Cucinare la pasta, scolarla ancora al dente. In una bella casseruola
versare la pasta con tutto il condimento, compresi i calamari. Mescolare
ben bene e lasciare riposare
qualche minuto. Infine spolverata di pepe e prezzemolo fresco tritato finemente.
giovedì 3 gennaio 2013
SALENTO - TRADIZIONE LA paparina
La "paparina" è un piatto della tradizione
contadina salentina.
E' uno dei tanti piatti poveri che fanno... ricca la cucina salentina,
Con questi prodotti della terra, spontanei, si preparano ricette veramente squisite, perché nutrienti e ricchie di minerali, la "paparina" è la pianta del papavero.
Si raccoglie in pieno inverno , dicembre gennaio, quando non ha ancora il fiore.
Si tagliano le radici , si eliminano eventuali foglie secche, si lava benissimo e si prepara in questo modo:
In una pentola si fa stufare dell'olio con uno spicchio di aglio ed un scantepaperoncino
E' uno dei tanti piatti poveri che fanno... ricca la cucina salentina,
Con questi prodotti della terra, spontanei, si preparano ricette veramente squisite, perché nutrienti e ricchie di minerali, la "paparina" è la pianta del papavero.
Si raccoglie in pieno inverno , dicembre gennaio, quando non ha ancora il fiore.
Si tagliano le radici , si eliminano eventuali foglie secche, si lava benissimo e si prepara in questo modo:
In una pentola si fa stufare dell'olio con uno spicchio di aglio ed un scantepaperoncino
Si inseriscono le "paparine" e si fanno cuocere
senza aggiungere acqua, o molto poca se ve ne fosse bisogno.a fine cottura si
aggiungono le olive nere di capasa il piatto è pronto.
SALENTO - LE CICORIE
CICORIE DI GALATINA
La Cicoria appartiene alla famiglia delle Compositae e i Romani la
conoscevano molto bene non solo per uso alimentare ma anche per le
qualità terapeutiche, infatti, Galeno, medico greco, la considerava
amica del fegato. Apicio il più noto e importante esperto di gastronomia
dell'epoca romana consigliava di cucinare la cicoria selvatica con
garum (salsa a base di pesce), olio e cipolla affettata, dimostrando di
saperla lunga in fatto di contrappunti. Già nel 1700 la radice della
cicoria essiccata, tostata, macinata e preparata come infuso, era
utilizzata come correttivo o surrogato del caffè, dal medico padovano
Prospero Alpini che ne aveva scoperto le proprietà curative. Un uso che
venne ripreso alla grande durante l'ultimo conflitto mondiale come
succedaneo del caffè a quei tempi diventato una rarità assoluta.
La cicoria di Galatina si semina in semenzaio a fine Maggio- inizio Giugno per raccoglierla in Novembre-Dicembre.
Si può seminare anche a file, lasciando trenta centimetri tra le
piante, occorre irrigare perchè la pianta non accetta il secco, utile
pacciamare facendo attenzione ai ristagni, possono favorire i rari
attacchi dell'oidio.
Il trapianto si effettua dopo circa un mese e
mezzo dalla semina, con piantine che hanno 4-5 foglie, spuntando
leggermente la radice a fittone, in piena terra ben livellata ad una
distanza di 25-30 cm tra le piante.
La varietà di Galatina produce i
cuori (puntarelle) per questo motivo viene sottoposta a tecniche di
forzatura e imbianchimento come per i radicchi.
Bisogna forzare la piante come altre cicorie, come la Cicoria di Bruxelles, i radicchi, la barba di frate....
Se la temperatura lo permette ovvero se non scende oltre i 5C° lo si fa
in loco, se no bisogna portarle in locali o in serre o in risorgive,
tenendole sempre al buio affinché crescano i germogli centrali eziolati e
privi di clorofilla.
Si tagliano le foglie a circa un centimetro
abbondante dal colletto-mondate e pulite da foglie secche e marce, si
seppelliscono con materiale sano e asciutto (fino al colletto con pula
di riso o segatura) e poi si mettono 50-60 cm di paglia di orzo o
frumento a mò di cumulo, infine si copre con un telo nero di PVC. Si può
anche tenere l'ortaggio in campo a patto che sia asciutto e sano. Dopo
ottobre novembre le cicorie e le catalogne per ottenere l'imbianchimento
vanno ritirate in zone riscaldate. Si deve aspettare circa 28-40 giorni
a seconda delle preferenze di gusto, delle temperature e della
conservazione.
mercoledì 2 gennaio 2013
SALENTUM - HISTORIAE
Lecce è la città più ricca di storia e di cultura del Salento, la città sorge su un antico insediamento messapico, ne danno testimonianza i ritrovamenti di tombe e di piccoli tratti della cinta muraria. Si pensa che questo antico insediamento messapico, era di fatto un piccolo villaggio costruito nei pressi dell’ Antica Rudiae, la patria di Quinto Ennio.
Durante il secondo secolo A.C. la città di Lecce veniva chiamata Lupiae, a quel tempo Lecce emergeva sugli altri centri della zona e diventa prima municipio e poi colonia. Durante la dominazione dell’ impero di Adriano vennero costruiti il grande Anfiteatro ed il Teatro, ed inoltre venne costruita una strada che collegava Lecce con il porto di Adriano, conosciuto oggi come Marina di San Cataldo. Con l’ imperatore Marco Aurelio, Lecce acquista benessere economico ed ebbe una forte espansione edilizia. A parte un breve periodo di dominazione Greca, Lecce è rimasta sotto il controllo dei Romani per circa cinque secoli.La contea di Lecce venne fondata da Roberto il Giuscardo, che la trasformò in un punto di riferimento per la cultura cavalleresca. A Tancredi conte di Lecce e del Regno delle Due Sicilie, va riconosciuta la costruzione della chiesa dei S.S. Niccolò e Cataldo, divenuta oggi una dei monumenti medioevali più importanti dell’ Italia meridionale. Ai Normanni seguì la dominazione degli Svevi, e agli Svevi quella degli Angioini, i Brienne e i Del Balzo Orsini. Durante il XV secolo, Lecce divenne un importante centro commerciale ed in poco tempo si trasformò in un fulcro di ricchezza culturale che caratterizzò il Salento. Grazie a Carlo Quinto nel Salento, si respira aria nuova, era arrivato il periodo del Rinascimento Salentino.
A Lecce vennero edificati il Castello, le Mura di cinta, un arco di Trionfo, costruito per ricordare Carlo V (oggi questo monumento viene chiamato Porta Napoli) e l’ Ospedale dello Spirito Santo.
Durante il periodo spagnolo, Lecce venne considerata un importante centro artistico e culturale, subito dopo Napoli. In questo periodo Lecce si arricchì di stupendi edifici e monumenti in arte Barocca, la città aveva cambiato il suo essere, era diventata un punto di riferimento per l’ arte nel panorama nazionale. In questo periodo, vennero edificate le chiese di S. Teresa, S. Chiara, S. Angelo, il palazzo dei Celestini e la splendida piazza Duomo, il punto in cui si concentrano numerosi monumenti armoniosamente legati da un solo stile, il Barocco. In piazza Duomo infatti possiamo ammirare il Duomo, lo stupendo campanile, il Seminario ed il Palazzo Vescovile.
Nel 1592 in Piazza S. Oronzo venne costruito il Sedile, chiamato anche con il nome di Seggio, ed intorno al 1660 venne portata la colonna di S. Oronzo.
Nel 1821 Lecce mandò un esercito per opporre resistenza agli Austriaci durante i moti carbonari. Dopo l’ unità, Lecce tra il 1895 e il 1915 si sviluppò ulteriormente, e partì in questo periodo una serie di progetti atti a realizzare numerose opere pubbliche, e si iniziò a costruire fuori le mura di cinta della città. Nel 1927 la provincia di Lecce venne staccata da quella di Taranto e Brindisi, da qui parte un percorso indipendente di crescita culturale ed economica non indifferente per la città di Lecce e per il Salento. Lecce durante questo percorso nella storia, ha acquistato oggi importanza e bellezza artistica paragonabile alle più importanti città d’ Italia.
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